Economia

TEMPESTA in BORSA

di Giovanni Vasso -


La tempesta perfetta è arrivata in Europa. Credit Suisse vacilla, pericolosamente. Troppo pericolosamente: -25% in un giorno solo. I soci arabi, i soliti sceicchi salvi-tutti, questa volta non spenderanno un euro per salvare la banca svizzera. E non appena s’è saputo che la National Saudi Bank non avrebbe potuto sborsare un cent (ufficialmente per ragioni normative), non appena s’è capito che non si sarebbe stata quell’iniezione di liquidità che avrebbe tenuto in piedi Credit Suisse, le Borse europee sono letteralmente crollate. Milano in testa.
Il Ftse Mib ha lasciato sul terreno addirittura il 4,61%, bruciando qualcosa come 27 miliardi. Male è andata anche a Francoforte, col Dax in caduta libera: -3,25%. Peggio a Parigi, il Cac40 ha ceduto il 3,58%. E il peggio, a quanto pare, deve ancora arrivare. Perché, intanto, l’infezione si sta propagando agli Stati. La paura è contagiosa: tutti hanno tentato di accaparrarsi titoli di Stato, temendo l’inizio di una crisi bancaria su scala europea. Così, con la domanda letteralmente impazzita, il rendimento dei Bund tedeschi cedono il 2,11 per cento, i titoli di Stato francesi perdono il 2,67%, i bonos spagnoli registrano rendimenti inferiori al 3,24 per cento e mentre quello dei Btp italiani tracolla: -4.09%. Si prepara la tempesta perfetta.
Ma che è successo a Zurigo? È accaduto che, come si legge nella relazione annuale di Credit Suisse, “il management non ha progettato e mantenuto un processo di valutazione del rischio efficace per identificare e analizzare il rischio di errori significativi nei propri rendiconti finanziari”. In realtà, i problemi all’istituto di credito svizzero non rappresentano una novità. Anzi. È da diversi anni che la gestione della banca è a dir poco difficoltosa a causa delle “debolezze sostanziali”, cioè dalla mancanza di rigorosi e seri controlli interni. Almeno da due anni a questa parte, secondo il resoconto attuale dei manager elvetici. Pwc, revisore dei conti di Credit Suisse, ha scoperto la magagna e, in una dichiarazione separata, ha affermato che “la direzione non ha progettato e mantenuto controlli efficaci sulla completezza, la classificazione e la presentazione degli elementi non monetari nei rendiconti finanziari consolidati”. Insomma, nessuno controllava. Ed è evidente, quindi, che persino gli arabi – interpretati come bancomat per eccellenza dalle banche occidentali – si siano stufati di tappare le falle causate da una gestione non proprio ottimale delle attività. A complicare la situazione c’era stata la scelta di Harris Associated, investitore di lunghissimo corso in Credit Suisse, che solo qualche giorno fa aveva annunciato di aver completato il disimpegno dal capitale sociale della banca: “Ci sono stati forti deflussi dalla gestione patromoniale” aveva aveva spiegato il Ceo David Herro: “Abbiamo molte altre opzioni d’investimento. Perchè restare su qualcosa che brucia capitali quando il resto del settore li genera?”
Intanto, gli attuali vertici di Credit Suisse, hanno chiesto aiuto alla Banca centrale svizzera e alla Finma, l’autorità di vigilanza elvetica. Chiedono un segnale, una scialuppa di salvataggio, un cenno di impegno. Si tratta pur sempre della seconda banca svizzera, di uno dei colossi del credito europeo. In attesa di una risposta, che dovrà arrivare, in un senso o nell’altro, al più tardi entro domani, la Bce fa quello che le riesce meglio. Cioè entra a piedi uniti su Cds. Stando a indiscrezioni non smentite da Francoforte, la banca centrale europea avrebbe chiesto agli istituti di credito dell’Ue di comunicare eventuali esposizioni nei confronti di Credit Suisse. Stando a quanto riporta il Financial Times, poi, gli uomini di Christine Lagarde avrebbero preso in considerazione l’idea di un’uscita pubblica per tentare di “calmare le acque”. Ipotesi che sarebbe stata immediatamente scartata per paura di confermare le paure, negli investitori e nei mercati, e di aumentare così la tensione attorno a Credit Suisse. Gli economisti si riuniscono oggi per comunicare le decisioni sui tassi. Pare che Lagarde e soci, nonostante la bufera, aumenteranno ancora il costo del denaro. L’unica concessione sarà nella dimensione dell’aumento: 0,25 e non cinquanta punti base come ampiamente annunciato.
Se l’Europa tace, l’America parla. E non si tira indietro. Il Dipartimento del Tesoro Usa ha riferito che sta “monitorando” la vicenda e che i funzionari sono “in contatto con le controparti degli altri Paesi”. Un portavoce del Dipartimento ha fatto sapere che le autorità stanno vagliando se e in che misura le banche americane si trovino esposte nei confronti del gruppo svizzero. Sarebbe la mazzata finale, per il credito made in Usa, dopo il crac Silicon Valley Bank. E pure il dollaro, col crollo del petrolio, ne risentirebbe.

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