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Terre rare, è sempre guerra tra Usa e Cina

di Alessio Gallicola -


Incontro tra i ministri degli Esteri, in gioco il predominio nei sistemi tecnologici di difesa

Il segretario alla Difesa Lloyd Austin incontrerà la prossima settimana per la prima volta faccia a faccia il suo omologo cinese, il ministro della Difesa Wei Fenghe. Al centro del confronto la “gestione della concorrenza”, una definizione generica che in realtà cela il reale motivo del vertice, la questione dei minerali delle terre rare, che rivestono ormai per tutti un ruolo sempre più collegato al comparto della difesa. Questi 17 metalli, infatti, contribuiscono alla produzione di quasi tutto ciò che è elettronico, a partire dai sistemi di puntamento delle armi tecnologicamente avanzate. La loro produzione è attualmente controllata al 90%  dalla Cina, che però non ne è il Paese più fornito.

Nel corso dell’ultimo decennio, infatti, il Dragone ha semplicemente aumentato l’estrazione e la produzione di questi metalli, svincolandoli anche da necessità di tutela ambientale dei territori interessati dal gravissimo impatto ambientale che causano, e anzi favorendoli con sussidi statali e crediti fiscali. E recentemente, con una direttiva indirizzata alle aziende produttrici, ne ha vietato la fornitura ai Paesi strategicamente concorrenti.

Gli Stati Uniti, invece, attraverso il Dipartimento della Difesa, hanno pensato bene di cautelarsi con una proposta legislativa alla Commissione competente della Camera, chiedendo che con 253,5 milioni di dollari sia programmata un’ampia iniziativa di stoccaggio di questi minerali. E’ il Reeshore Act introdotto in maniera bipartisan dal senatore repubblicano Cotton e dal democratico Kelly. Quest’ultimo, ex astronauta, è arrivato a raccontare come dallo spazio, sorvolando la Cina, avesse visto laghi dai colori molto strani, evidentemente bacini idrici utilizzati per lo scarico dei reflui derivanti dall’estrazione e dalla lavorazione di questi metalli. Cotton, da parte sua, ha scelto la carta dell’allarmismo puro, prefigurando che se la Cina dovesse tagliare le forniture agli Usa, l’attuale scorta del Dipartimento della Difesa durerebbe meno di un anno.

Manovra legislativa a parte, lo scenario attuale può condurre, per gli Stati Uniti e per gli altri Paesi, compresi quelli dell’Europa, solo ad una maggiore determinazione per puntare ad una strada verso l’autosufficienza, produttiva ed economica.

Il Ronald Reagan Institute, in proposito, ha evidenziato la sua preoccupazione in un rapporto pubblicato alla fine dello scorso anno: “La spinta della Cina all’autosufficienza contrasta nettamente con la crescente dipendenza dell’America dalle importazioni, comprese le catene di approvvigionamento fondamentali per la sicurezza nazionale, come i minerali e i semiconduttori delle terre rare”.


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