Esteri

Terremoto, i giorni della disperazione. Il gelo in Turchia ritarda i soccorsi 

di Martina Melli -

TERREMOTO IN TURCHIA E SIRIA, OPERAZIONI DI SOCCORSO DELLA CROCE ROSSA SIRIANA ©imagoeconomica


Il bilancio delle vittime del terremoto di magnitudo 7.9 che ha devastato Siria e Turchia nella notte tra domenica e lunedì, ha ora raggiunto le 12.000 vittime totali e decine di migliaia di feriti.
I soccorsi sono al lavoro da giorni e ci sono ancora migliaia di dispersi sotto le macerie.
Purtroppo, via via che passano le ore, diventa sempre meno probabile che chi è rimasto intrappolato sotto le tonnellate di detriti possa uscirne vivo: secondo le squadre di soccorso, per salvare i sopravvissuti sono cruciali le prime 72 ore dal momento del cataclisma, e siamo ormai ben oltre quella soglia temporale.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ritiene che il bilancio finale potrebbe arrivare fino a 20.000 morti, considerando che un terremoto di simile magnitudo nella regione, nel lontano 1999, uccise almeno 17.000 persone.
La situazione è davvero tragica: oltre al crollo, alla distruzione, al freddo, ai morti e a chi è rimasto schiacciato sotto il peso degli edifici implosi, gli ospedali sono sovraffollati e carenti di strumentazioni.
I fondi, le scorte e gli interventi non saranno mai sufficienti a gestire o almeno alleviare le immani conseguenze di questa catastrofe naturale.
La Turchia ha subito ricevuto aiuti da circa 65 Paesi del mondo.
In Siria, invece – nel quadro di una guerra civile che la devasta da oltre dodici anni, in cui il sisma è la catastrofe definitiva, l’emergenza nell’emergenza – ne sono arrivati pochissimi.
I motivi sono diversi: le ambasciate siriane in Europa sono chiuse; il Governo di Assad, da anni, è flagellato dalle pesanti sanzioni dei Paesi occidentali, che così facendo, intendono mettergli pressione affinché si arrivi a una risoluzione del conflitto.
Come se non bastasse, il nord-ovest della Siria è controllato dai ribelli ed è dunque diventato molto difficile da raggiungere attraverso i canali usati negli ultimi anni (per aggirare il Governo centrale, bisogna passare dal sud della Turchia che in questo momento è completamente devastato).
A dare un contributo sul territorio sono praticamente rimasti solo i Caschi bianchi, un’organizzazione di volontari di difesa civile noti per i soccorsi prestati alla popolazione durante la guerra.
Fin dalle prime ore di lunedì, hanno iniziato a fioccare le polemiche rispetto all’inefficacia e alla lentezza dei soccorsi ufficiali in Turchia, polemiche di cui il Presidente Erdogan si è preso la responsabilità.
Da lì in poi, la postura istituzionale è leggermente cambiata. Addirittura, sembra che sia stato limitato l’utilizzo di Twitter che, fino a quel momento, era stato utilizzato come canale per geolocalizzare le persone intrappolate tra le macerie.
Martedì la polizia turca ha iniziato ad arrestare diverse persone accusate di diffondere disinformazione sulla piattaforma e, così facendo, generare altro panico per il terremoto. Erdogan ha rilasciato una dichiarazione in merito, esortando il suo popolo ad ascoltare solo i canali ufficiali di informazione e non i “provocatori”. Man mano che passano le ore, vanno avanti gli instancabili interventi di soccorso e si moltiplicano i salvataggi al limite del miracoloso: nella provincia di Kahramanmaras una bimba di 18 mesi è stata estratta viva dalle macerie dopo più di 56 ore. A Salqin, in Siriauna bambina di 8 anni è stata salvata dopo essere rimasta intrappolata per 40 ore; Ad Hatay, in Turchia, un bambino di otto anni è stato salvato dalle macerie dopo circa 52 ore. Adesso sono pronte 70.000 tende per le famiglie ma la paura non è ancora finita: si teme infatti l’epidemia sismica, ossia l’insieme di eventi sismici che possono susseguirsi nel (breve) tempo dopo un forte terremoto. E questo è stato un terremoto 500 volte più forte di quello che ha colpito Amatrice. Come se 130 bombe atomiche fossero cadute contemporaneamente tra il suolo turco e quello siriano.

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