Esteri

The day after giù la Muskera

di Giovanni Vasso -


con Federico Ferrazza

Si parla solo di Joe Biden e di Donald Trump. Come se tutta la vicenda relativa alle elezioni di mid-term americane si risolvesse nelle figure dell’attuale e dell’ex inquilino della Casa Bianca. Se c’è una legge, in politica, è quella della complessità e della sintesi. L’una presuppone e contemporaneamente non deve prevaricare l’altra. In soldoni: ci sono dinamiche che vanno al di là del semplice scontro tra i front-runner dei partiti, ci sono personaggi e protagonisti diversi che, di volta in volta, possono recitare un ruolo decisivo nelle elezioni senza prendervi parte attivamente. Negli Stati Uniti alle prese con il mid-term, questo compito s’è l’è assunto su di sé Elon Musk. Il magnate di origini sudafricane non è soltanto uno degli uomini d’affari più influenti dell’Occidente ma ambisce a ritagliarsi un ruolo centrale nel dibattito, non solo politico e non solo negli Stati Uniti d’America. Elon Musk “è un imprenditore coraggioso e visionario”, spiega a L’identità Federico Ferrazza, direttore di Wired Italia. “Ha lanciato una serie di operazioni che hanno anticipato i tempi. Alcune, come Tesla e Paypal, sono andate bene. Altre non altrettanto, penso ad Hyperloop, il progetto delle metropolitane superveloci”. Di sicuro, per Ferrazza, c’è il fatto che Musk “è una persona che tende a esporsi molto: a volte questo è un vantaggio, altre no perché è abbastanza divisivo”. Tentare di dare ambizioni solo politiche, a Musk, può essere uno sbaglio: “Io credo che voglia attenzione, partecipare alla discussione pubblica. È il modo di comunicare che ha per le sue imprese, lo ha fatto anche con Tesla. Lui vuole rivoluzionare Twitter e farne la più grande piattaforma di comunicazione al servizio della democrazia, vuole rivoluzionare la pubblicità e creare un mondo più sostenibile. Ho qualche dubbio che questa sia la strada per fare di Twitter una piattaforma per la democrazia ma lui tende a voler essere centrale nelle discussioni pubbliche”. Gridare al pericolo Elon per le libertà, però, è eccessivo. “C’è un’illusione ottica sui social. Non sono spazi pubblici, non lo sono mai stati. Facebook è privato, anche Twitter lo è e lo era già con Jack Dorsay. Svolgono un servizio pubblico e devono prendersi la responsabilità di quello che offrono ma non vedo grandi pericoli per la democrazia se Musk decide di voler gestire diversamente Twitter rispetto a come sia stato gestito finora”.

A tenere banco, poi, sono le sue idee politiche. I suo endorsement è andato ai Repubblicani. Un’indicazione di voto giunta da un magnate, e soprattutto da un personaggio pubblico come Elon Musk, avrà il suo peso. Alla politica, Musk si approccia rivendicando il suo sentirsi centrista. “Lui è a destra dei democratici e a sinistra dei repubblicani, si pone in una posizione moderata ma non lo sembra affatto”, spiega Ferrazza. “Elon Musk è molto bravo a mettersi al centro delle discussioni pubbliche e adesso ci sono le elezioni. Ha idee stravaganti della politica. È un’idea naif, diciamo così, credere che la compensazione tra i diversi organi del potere americano porti a un bilanciamento. Sappiamo, infatti, che se il presidente è democratico e il congresso è repubblicano, c’è il rischio che si blocchi tutto”.Eppure al neo proprietario di Twitter viene riconosciuto un potere enorme. Gli deriva dal suo sterminato patrimonio, dalle sue aziende impegnate in ogni campo, dalle infrastrutture fisiche e digitali che possiede, dalle sterminate masse di clienti o consumatori che, tutti i giorni, utilizzano i suoi prodotti, si interfacciano con le sue aziende. Ma c’è chi è (davvero) più potente di lui, anche se ha un approccio più discreto nella sfera pubblica. “Musk fa molto discutere – dice Ferrazza – ma tra lui e Jeff Bazos, che ha rivoluzionato i nostri stili di vita, chi ha più potere è quest’ultimo. Oggi compriamo tantissime cose online, Bazos ha rivoluzionato le grandi catene commerciali e industriali. Musk, invece, fa un social che ci piace tanto ma che non cambia le sorti del mondo. Anche Calenda, Salvini e Letta si scatenano su Twitter eppure lasciano il tempo che trovano…”.

Mentre l’America è alle prese con il voto, si è registrato qualche giorno fa, un incredibile capitombolo, in Borsa, delle maggiori società digitali. “Se per digitale intendiamo commercio e comunicazioni – afferma Ferrazza -, dobbiamo riconoscere che il settore è prospero. C’è un problema con i social network, specialmente con i primi, quelli che si sono imposti con maggior forza sul mercato. Facebook ha un problema ma Whatsapp (che afferisce sempre al gruppo Meta ndr) non va male. Il problema magari è di prodotto, legato a cose che possono aver stancato gli utenti. Credo poi che a Menlo Park ci sia un problema di visione: temo che quella roba lì, del metaverso, non avrà il successo che loro si augurano…”. Ma questa è un’altra storia. 


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