Attualità

“Torniamo all’ Antimafia che puniva i colpevoli. No ai professionisti del bene”

di Eleonora Ciaffoloni -

ALESSANDRO BARBANO DIRETTORE CORRIERE DELLO SPORT GIORNALISTA


Il problema della pericolosità colpisce tutto il sistema penale italiano, fino al 41 bis. Un diritto basato sulla pericolosità produce sofferenza nelle famiglie, una grande turbativa sociale, un grande danno economico e un effetto collaterale di fare il gioco della mafia”. Queste le parole del giornalista e saggista Alessandro Barbano che, con il suo ultimo libro racconta l’Antimafia di oggi e l’emergenza che vive il nostro sistema penale.

Il suo nuovo libro si intitola L’Inganno. Perché? Quali sono le intenzioni?
“Ho scritto questo libro perché mi sono convito che il nostro sistema penale, negli ultimi vent’anni, è andato incontro alla cosiddetta sostituzione della colpevolezza con la pericolosità. Significa che il diritto non ha più al centro il reato, ma il reo, che è condannato no per il fatto ma per ciò che è: ladro, mafioso, pericoloso. La pericolosità diventa un giudizio soggettivo fondato sul sospetto e questa ricade nei sequestri: un sistema che consente la sottrazione di beni a un cittadino sulla base di un giudizio di pericolosità.

 

Questa “sostituzione” in che modo entra nel sistema?
“La colpevolezza è stata sostituita dalla pericolosità anche nel sistema penale. Un esempio: ogni anno vengono fatte retate cicliche nel Mezzogiorno, dove su 200 arresti si hanno 20 al massimo 30 condanne. Operazioni di questo tipo si fanno in nome della pericolosità e non della colpevolezza. Si colpiscono persone ritenute pericolose da una autorità che ha trasformato la macchina per colpire l’emergenza (della mafia), in una macchina dell’emergenza che cresce e diventa aggressiva”.

 

Un problema che colpisce il Mezzogiorno o l’intero Paese?
“Ci sono sempre più processi e sentenze nei confronti di gruppi meridionali al nord con accuse di associazione a delinquere di stampo mafioso in assenza dei reati fine come furto, estorsione, corruzione. Se non ci sono i reati si colpisce l’associazione mafiosa in quanto tale e il processo ai mafiosi rischia di diventare il processo ai meridionali. La colpevolezza non c’è perché non c’è un fatto costituente reato ma un giudizio di pericolosità. Il problema colpisce tutto il sistema penale italiano, fino al 41 bis. È un diritto basato sulla pericolosità produce sofferenza nelle famiglie, una grande turbativa sociale, un grande danno economico e un effetto collaterale di fare il gioco della mafia”.

 

Quale gioco?
“Si aiuta la mafia quando si punisce l’imprenditore che ha denunciato gli estortori – mafiosi – confiscandogli i beni, perché poi nessuno sarà spinto a farlo. L’azione dell’antimafia nel Mezzogiorno per come è stata condotta ha prodotto un inquinamento profondo e radicale che ha tradito le premesse per cui era stata costruita”.

 

Va cambiata la modalità di azione?
“Io non chiedo di disarmare l’antimafia, ma di tornare a uno spirito dell’antimafia compatibile con le regole dello stato di diritto: un’azione penale fondata su investigazioni efficienti, rispettosa delle garanzie e in grado di distinguere ciò che è lecito da ciò che non lo è, ma anche di aiutare la società a isolare e combattere la mafia e non trasformare il Mezzogiorno in una zona del sospetto”.

 

Con il caso Messina Denaro si è riaperto il dibattito sulle intercettazioni. Cosa ne pensa?
“Le intercettazioni sono uno strumento indispensabile in tutte le democrazie avanzate. Bisogna vedere come vengono utilizzate. Ci sono processi interamente centrati su intercettazioni senza riscontri e verifiche: la Cassazione ha autorizzato questa ricostruzione della verità verosimile ma non accertata. È chiaro che le intercettazioni servono per scoprire reati e sono necessarie, ma usate in maniera chirurgica rispetto alle acquisizioni, con dei limiti dello stato di diritto. Non possono essere usate a strascico: serve un accertamento vigoroso e un riscontro. Oggi vediamo un’investigazione penale che è intercettazione-dipendente, con queste che vengono usate quasi unicamente per fare una condanna mediatica. Non potendo conseguire una condanna fondata su prove, si procede allo svergognamento pubblico attraverso la divulgazione delle intercettazione in una fase di indagini preliminari, messa in atto dalle Procure”.

 

Serve cambiare il metodo delle intercettazioni?
“Nessuna riforma delle intercettazioni si potrà mai fare fino a quando i cittadini italiani resteranno convinti che conoscere il contenuto delle intercettazioni – irrilevanti – è utile per smascherare il lato oscuro della classe dirigente. Questo tipo di intercettazioni rispondono alla tentazione collettiva di vedere cosa c’è sotto a quanto accade e non servono”.

Si è aperta da poco anche l’inchiesta sul Covid. Cosa ne pensa?
“Questa inchiesta pretende di collegare una causalità tra un atto politico – come una scelta politica sanitaria – e un evento, come la morte dei cittadini contagiati. Questa causalità nel diritto penale presuppone una responsabilità individuale accertata non può essere ascrivibile a una scelta di carattere politico”.

 

Si parla di un reato di epidemia colposa…
“Un reato di questo tipo presuppone una condotta commissiva, che in questo caso non c’è. Gli indagati vengono chiamati a giudizio per aver rinunciato a chiudere una certa zona o per aver rinunciato a modificare il piano pandemico, questa è una condotta omissiva. Ciò può configurare nelle responsabilità politiche ma non può configurare una responsabilità penale. I magistrati hanno diffuso tutti gli atti istruttori, mettendo tutto in piazza. Hanno voluto far vedere ai cittadini cosa c’era sotto in quei giorni nelle stanze del potere. Questa inchiesta è inconferente e strumentale, e mostra protagonismo ed esibizione, che mostrano il peggior volto della magistratura italiana”.


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