Toscana, perché la legge sul fine vita dovrebbe allertare anche i non credenti
La Toscana ha approvato, lo scorso 11 febbraio 2025, una legge riguardante i requisiti e le procedure per accedere al suicidio assistito, allineandosi alle normative di altri stati europei che promuovono questa pratica o che stanno dibattendo circa l’opportunità di introdurla anche nei propri sistemi legislativi.
La notizia, accolta con entusiasmo da molti progressisti, ha suscitato la reazione dell’arcivescovo di Siena, il cardinale Paolo Lojudice, che ha definito la misura una “sconfitta” più che un successo. Bisogna riconoscere però che la Chiesa toscana, con il cardinale Lojudice in prima linea, non è riuscita a fornire chissà quali argomenti incisivi per persuadere i politici a opporsi a tale proposta di legge, segno di una crisi più ampia nella capacità cattolica contemporanea di fornire risposte adeguate alle sfide della bioetica.
La questione, tuttavia, non si esaurisce nella mera opposizione tra religiosi e non credenti. Si ha l’impressione di avere di fronte una platea nettamente divisa: da un lato, i progressisti che vedono in questa legge un successo clamoroso; dall’altro lato, gli ambienti cattolici che la dipingono come una catastrofe epocale.
Entrambe le reazioni sono, a mio modesto avviso, esagerate. In una società ormai secolarizzata e ostile alla tradizione cristiana, è irrealistico pensare che simili leggi non vengano prima o poi approvate. Tuttavia, se potrebbe risultare ingenuo per i progressisti esultare, così è altrettanto ingenuo per i cattolici stracciarsi le vesti: non bisogna mai dimenticare, infatti, che lo stato con i suoi atti legislativi non crea la moralità.
Il fine della legge non è quello di educare, ma di costringere. L’intelletto umano, infatti, può essere solo persuaso a fare il bene. Lo stato, invece, pretende di formare le coscienze con la forza, ma non è capace di farlo: solo le famiglie, le organizzazioni religiose e le scuole hanno la capacità di educare gli individui.
Detto questo, bisogna riconoscere che un popolo che avverte la necessità di legiferare su una pratica come il suicidio assistito è un popolo che ha fallito nella sua capacità di formare individui capaci di valorizzare e affrontare la vita, nonostante l’inevitabile sofferenza che essa comporta. Lo ripeto: non sto parlando in quanto cattolico. A sostegno di questa mia riflessione, infatti, vorrei richiamare l’analisi di Murray Newton Rothbard, noto pensatore libertario che non si può accusare di cattolicesimo, anche se era certamente consapevole del ruolo storico che la Chiesa ha avuto nella difesa e nella promozione della proprietà privata e della libera impresa.
Rothbard sosteneva che, sebbene il suicidio non possa essere vietato per legge, è comunque profondamente immorale presentarlo come una risorsa o una soluzione desiderabile. Se uomini e donne arrivano al punto di chiedere allo stato o alle aziende sanitarie locali l’assistenza al suicidio, non è tanto la sofferenza fisica a motivarli in questa scelta, ma una miseria esistenziale che la società ha contribuito a creare e che non ha saputo risolvere.
Il dolore appare oggi “insensato” per tante, troppe persone, cioé privo di significato. Una legge che lascia la libertà al singolo di chiedere assistenza al suicidio è una cosa, una legge che incentiva questa scelta come segno di progresso è un’altra. In realtà, festeggiare l’approvazione di tale legge è il segno di un fallimento morale ed esistenziale condiviso.
Anche per i laici, la vita deve essere vista come un valore e una bellezza da difendere. È nell’interesse di tutti sperare che il numero di persone che faranno domanda di suicidio assistito sia il più basso possibile, tendente se possibile allo zero. Quei politici che vedono in questa legge lo strumento per normalizzare l’eutanasia e diffondere la sua pratica tra i cittadini sono persone meschine, poco degne di stima.
Infine, non possiamo fingere di ignorare le conseguenze pericolose a lungo termine che questo tipo di legislazione possiede implicitamente. Il summenzionato Rothbard così scriveva già nel 1991: “La maschera è caduta: Dottor Suicidio Assistito e il Signor Morire con Dignità si rivelano essere solo il Dottor e il Signor Morte. Tenete gli occhi aperti, signori e signore: gli umanisti liberal, laici e medici, non vogliono solo regolare le vostre vite e derubarvi del portafoglio. Vogliono anche uccidervi! I libertari affermano spesso che i conservatori sono a favore delle libertà economiche mentre i progressisti sono a favore delle libertà civili o personali. E questa sarebbe una libertà personale? Questi assassini si giustificano dicendo che la qualità della vita è più importante del prolungamento della vita”.
Apriamo gli occhi. Consegnare allo stato il potere di legittimare e regolamentare il suicidio assistito significa aprire la porta, in futuro, a una potenziale eutanasia obbligatoria per tutti coloro che saranno considerati “pesi morti” per la società: anziani, disabili, malati terminali (quanto in futuro ce lo dirà la storia, ma di questo passo non credo che sia troppo in là).
La storia insegna che, quando si concede allo stato la facoltà di decidere se e come morire, prima o poi questi troverà un pretesto per estendere tale potere ben oltre i limiti iniziali e ben oltre i limiti della libertà, della responsabilità e della scelta individuale. La storia insegna, ma siamo disposti ad ascoltarla? Più uno stato è forte e centralista e più ha tutto l’interesse a eliminare coloro che rappresentano un costo sociale improduttivo.
Più potere si concentra nelle mani dello stato, più cresce il rischio che la vita umana venga valutata in base alla sua utilità economica e sociale. Come insegna Haldous Huxley, il connubio tra consumismo e statalismo è molto forte. Questo dato di fatto è stato reso particolarmente evidente in Regno Unito, quando la piccola Indi Gregory fu lasciata morire dietro decisione del giudice britannico di sospendere le cure in base al principio del “miglior interesse del bambino”. La sentenza del giudice fu portata a termine nonostante i genitori avessero manifestato contrarietà.
Questa legge e il significato che essa comporta non sono il segno della civiltà, ma semplicemente il sintomo di una società che ha perso il senso del valore della vita umana e del dolore. E questa è una sconfitta per tutti, credenti e atei.
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