Esteri

Tra percezioni e realtà, la guerra cognitiva ad Anchorage: “Un successo per Putin sul piano simbolico”

L'incontro tra Donald Trump e Vladimir Putin ha sollevato più interrogativi che certezze. Niente cessate il fuoco...

di Alessandro Butticé -

FRANCESCO MARIA TALO' CONSIGLIERE MINISTRO DIFESA


L‘incontro tra Donald Trump e Vladimir Putin ad Anchorage ha sollevato più interrogativi che certezze. Niente cessate il fuoco, nessuna concessione sostanziale da parte russa, eppure l’immagine che ne esce per opinioni pubbliche come quella italiana è quella di un leader del Cremlino nuovamente accolto come attore legittimo della scena internazionale. In questo scarto tra fatti e percezioni si gioca la partita della guerra cognitiva, campo in cui la manipolazione delle narrazioni diventa essa stessa arma strategica. Ne parliamo con l’Ambasciatore Francesco Maria Taló, ex Rappresentante Permanente d’Italia alla Nato e Consigliere diplomatico della Premier Giorgia Meloni, oltre che esperto di sicurezza e geopolitica.

Ambasciatore, Anchorage è stato un successo per Putin?
“Sì, ma soprattutto sul piano simbolico. Ha ottenuto legittimità, e questo in guerra cognitiva equivale a un successo, ma ricordiamoci che sul terreno le forze armate russe in oltre tre anni hanno conquistato soltanto il 20% del territorio ucraino, di cui una parte in realtà l’avevano già occupata prima. Quella che possiamo definire come una guerra cognitiva consiste nell’insinuare nelle nostre menti la falsa immagine di una Russia potente come ai tempi di Stalin“.

È il trionfo della percezione sulla realtà?
“Esatto. La guerra cognitiva consiste proprio nel trasformare il simbolo in sostanza. Se l’opinione pubblica occidentale crede che per avere la pace sia inevitabile cedere completamente ad un Putin onnipotente, e tanti commentatori in buona fede amplificano questo messaggio russo, vuol dire che stiamo perdendo colpi. Dobbiamo evitare di perdere la battaglia della percezione nell’ambito del confronto cognitivo dopo che con il nostro sostegno l’Ucraina ha salvato Kiev, mentre i russi erano giunti alla periferia della capitale e si sono dovuti ritirare da ampi territori occupati. Questa è una verità da ricordare anche perché dimostra che il nostro impegno ha avuto effetti concreti”.

Qual è il rischio maggiore per l’Europa?
“La stanchezza strategica. Se passa la narrativa russa che “il tempo gioca a favore di Mosca” e che le sanzioni colpiscono più noi che loro, l’unità europea rischia di incrinarsi. Abbiamo invece visto in questi giorni che per i russi l’eliminazione delle sanzioni è una priorità, vuol dire che sono efficaci. La guerra cognitiva mira a seminare dubbi, divisioni, disillusione“.

In questo quadro, che ruolo hanno l’Unione europea e i suoi leader?
“Un ruolo decisivo. La Presidente Giorgia Meloni, ad esempio, ha sempre sostenuto coerentemente, già da quando era all’opposizione, una linea di solidarietà con l’Ucraina e lavora per l’unità dell’Occidente, che è indispensabile per avere un ruolo credibile. Comprende che la guerra cognitiva si combatte anche dentro le nostre democrazie, e che cedere alle narrazioni di Mosca significa esporre il fianco. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha ben chiara l’importanza di aver compiuto un passo avanti con il processo avviato ad Anchorage e che è proseguito a Washington con un ruolo fondamentale dell’Europa riconosciuto anche da Trump. Tajani è impegnato a rafforzare il ruolo dell’Europa perché questa vicenda ha dimostrato la necessità di una Ue più unita e capace di intervenire. Al riguardo è fondamentale rafforzare una deterrenza credibile anche con maggiori risorse per la difesa, come sostiene anche il Ministro Crosetto. La deterrenza peraltro non è solo militare, è anche comunicativa: trasmettere coerenza e fermezza, evitando che i segnali ambigui vengano interpretati come debolezza”.

Quali strumenti utilizza la Russia in questa guerra cognitiva?
“Due principali. Primo, la propaganda: i media russi hanno celebrato Anchorage come una vittoria totale. Secondo, la disinformazione digitale: bot e reti coordinate – di cui fanno parte anche occidentali in buona fede – diffondono messaggi di sfiducia nelle democrazie, oltre che nella Nato e nell’Ue”.

Quale risposta deve dare l’Occidente?
“Tre parole: lucidità, unità, resilienza. Lucidità nel distinguere i fatti dalle percezioni. Unità, perché la disinformazione colpisce di più se trova divisioni interne. Abbiamo però visto che l’aggressione russa all’Ucraina ha riavvicinato il Regno Unito alla Ue, ha provocato la richiesta svedese e finlandese di entrare nella Nato mentre fino a pochi mesi prima non ci pensavano minimamente. Questi sono fatti e dobbiamo avere una percezione più chiara della loro importanza. Resilienza, cioè capacità di riconoscere e neutralizzare la manipolazione. In questo senso, l’Italia può giocare un ruolo di ponte, ribadendo la linea della fermezza pur comprendendo la necessità di impegnarci in un tavolo negoziale“.

Quindi Anchorage è stato un successo cognitivo per Putin, ma non definitivo?
“Esattamente. Ha vinto una battaglia delle percezioni, ma la guerra cognitiva è continua. Tocca a noi dimostrare che la deterrenza funziona: che la fermezza occidentale non è retorica, e che la verità, anche se faticosa, è più forte della propaganda. In un mondo in cui la guerra si combatte anche nell’arena delle idee, distinguere tra realtà e rappresentazione diventa vitale“.


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