Salute

“Trapianti, l’Italia è al top Padova esempio di eccellenza”

di Redazione -


L’operazione di trapianto a cuore fermo (da venti minuti) eseguita a Padova nelle scorse settimane, ha segnato una innovazione e un record nella medicina dei trapianti. A farci un quadro sul mondo della medicina dei trapianti e sui funzionamenti sono i professori dell’Università di Udine Andrea Risaliti, primo iniziatore dei trapianti nella struttura di Udine e Umberto Baccarani, esperto nei trapianti di fegato.

A Padova è stato eseguito un trapianto a cuore fermo. Cosa significa e qual è la situazione in Italia?
La procedura della donazione a cuore fermo conta in Italia un aumento sul totale di circa il 5% dei donatori. Si tratta di una procedura per cui si agisce non più a cuore battente, ma dopo l’arresto cardiaco. Questa tipologia di donazione in Italia è in ritardo rispetto agli altri Paesi: ricordiamo la legge “garantista” che permette di intervenire solo dopo 20 minuti, che comporta conseguenze maggiormente limitanti, mentre in altri Paesi europei e negli Usa agiscono in un tempo dai 5 ai 10 minuti. È innovativo il caso di Padova perché un tempo così lungo non era mai stato precedentemente esplorato e ciò testimonia la possibilità che c’è una fattibilità, sempre tenendo conto che vanno verificati i risultati a distanza.

Per la donazione cosa accade?
In Italia registriamo problemi di carattere organizzativo molto complessi, proprio per le tempistiche. Nello specifico della donazione, in primo luogo, bisogna spettare l’arresto cardiaco. Il donatore deve essere già in ospedale ricoverato e sotto controllo medico e deve essere già pronta la sala operatoria. Poi il deceduto deve essere messo in circolazione extra corporea, quella che consente di vicariare l’attività cardiaca e polmonare, per poi procedere all’intervento. In Italia questo tipo di donazione è stata fatta per la prima volta nel 2008 a Pavia, dove è stato eseguito un trapianto di rene da un donatore a cuore fermo. Dal 2008 la condizione è cambiata perché guardando ai dati forniti dal Centro Nazionale Trapianti nel 2021, vediamo che sono stati trapiantati circa 100 reni da donatore a cuore fermo e 68 fegati, dimostrando un incremento proporzionale rispetto al 2020 di oltre il 40%, su 3417 trapianti eseguiti.

Per il trapianto di cuore?
Il primo trapianto tradizionale di cuore, cosiddetto a cuore battente è stato eseguito per la prima volta nel 1969 da un donatore a cui era stata diagnosticata la morte cerebrale. E così funziona ancora oggi, la morte cerebrale viene diagnosticata da una equipe di medici attraverso esami strumentali e non. A quel punto si procede al trapianto su un paziente: il cuore nel momento in cui viene estratto cessa l’attività e viene conservato (attraverso tecniche più o meno innovative) per un tempo relativamente breve visto che gli organi, compreso il cuore, sono suscettibili all’ischemia. A quel punto il cuore viene impiantato nel torace e riallacciato alla vena cava del paziente e viene fatto ripartire attraverso uno choc, quindi una fibrillazione.

Qual è la differenza tra un trapianto – a cuore fermo – di cuore e di altri organi come fegato e reni?
Il cuore è un organo più suscettibile all’ischemia e si conserva di meno se non è perfuso dal sangue e deve essere trapianto più velocemente, mentre gli altri organi come il fegato e i reni tollerano un tempo di ischemia maggiore. Ad esempio, il cuore deve essere trapiantato al massimo entro 4 o 5 ore di ischemia, mentre un fegato tollera fino alle 10-12 ore e un rene fino a 24.

Qual è la situazione, oggi?
Grazie a presidi sempre più innovativi, oggi la platea del donatore si è ampliata a più tipologie di pazienti: così si possono utilizzare un numero più ampio di donatori e quindi di organi, con dei risultati che sono paragonabili a quelli del donatore ottimale (e quindi giovane senza patologie, con una situazione clinica ottimale). Inoltre, sono cambiate nel tempo anche le indicazioni per i trapianti, a cui si ricorre per differenti patologie. Ad esempio, per il trapianto di fegato una delle indicazioni principali erano le epatiti virali. Ora, ad esempio, l’epatite C non è più una indicazione perché sono stati sviluppati dei farmaci in grado di curarla. Un ulteriore esempio di indicazione che invece sta prendendo piede per i trapianti è quella che riguarda le malattie oncologiche. Una pratica, quella dell’oncologia trapiantologica che è in evoluzione, con ottimi risultati per i pazienti che sono malati di tumori.


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