Salute

Trapianto record a cuore fermo “Perché siamo i primi al mondo”

di Eleonora Ciaffoloni -


L’11 maggio a Padova è stato eseguito per la prima volta un trapianto a cuore fermo da 20 minuti. Un tempo record a cui nessuno era mai arrivato. A raccontarci il funzionamento di queste tipologie di intervento e a farci un quadro completo su e sul contesto italiano è Ugolino Livi, già professore di cardiochirurgia dell’Università di Udine.

 

Come funziona questo tipo di intervento e come è stato possibile?
Il caso di Padova è eccezionale: si tratta del primo trapianto eseguito con un tempo di ischemia – cuore fermo asistolico – per un periodo molto lungo. Si riteneva che questi tempi non permettessero un potenziale recupero del cuore a fine trapianto. La novità sta dell’utilizzo del DCD (donatore con morte cardiaca): ovvero a seguito di un accertamento di morte con arresto cardiaco. Abitualmente la donazione non avviene con queste modalità, perché la possibilità di utilizzare un cuore fermo imponeva una serie di problematiche nella riuscita. Solitamente si utilizzano criteri neurologici (DBD, donatore con morte cerebrale) e cioè l’accertamento con morte cerebrale: il cervello danneggiato non viene più perfuso e non ritenendo più recuperabile l’individuo a uno stato di coscienza, il paziente viene dichiarato morto e diventa potenziale donatore. In entrambi i casi il donatore – sia per morte cardiaca che cerebrale – viene dichiarato cadavere. Quando l’accertamento avviene con criteri neurologici tutti gli organi, compreso il cuore, sono perfusi e ben funzionanti e i trapianti fino adesso venivano eseguiti da donatori DBD.

Come e quando cambia la donazione da donatore DCD?
Il trapianto da DCD si fa da diversi anni. I primi due trapianti di cuore fatti da Christiaan Barnard, nel 1967, furono fatti così. Allora in Sudafrica non c’era una legislazione che certificava la morte cerebrale dell’individuo e questa avveniva con l’arresto cardiaco: bastava che un medico curante certificasse la morte (per arresto cardiaco) del paziente e questo diventava idoneo come donatore. Barnard ha atteso che il cuore della donatrice si arrestasse, lo ha messo in circolazione extracorporea, lo ha fatto ripartire e lo ha utilizzato nel famoso trapianto Washkansky. Poi, nel 1968 un comitato di esperti riunitosi a Boston decretò che la morte poteva essere certificata anche con criteri neurologici. Il trapianto da DCD era stato poco utilizzato negli anni e soprattutto, non veniva utilizzato per il cuore. Si è dovuto attendere fino al 2014, quando i chirurghi del St Vincent’s Hospital di Sydney hanno riportato i primi tre casi di trapianto cardiaco da DCD. Il vantaggio era dato dal tempo con cui si certificava il decesso del potenziale donatore: un’osservazione – e cioè assenza di battito – di solo due minuti (poi passati a cinque). Poi hanno iniziato anche al Papworth Hospital, in Inghilterra nel 2015: un programma talmente sviluppato che ora il 40% dei trapianti di organi vengono da DCD.

Con esito positivo?
I primi risultati sono stati brillanti. Per mortalità e sopravvivenza molto solidi, anche superiori ai trapianti da donatori DBD. Adesso i dati sono confortanti anche a cinque anni dall’operazione: ad esempio a Sydney hanno una sopravvivenza dell’87%. Una percentuale alta, legata anche a una più scrupolosa selezione dei pazienti e dei donatori, ma anche ai tempi più brevi di osservazione per la certificazione della morte cardiaca. Questi tempi (di cinque minuti) sono comuni a tutti i Paesi anglosassoni, ma anche in molti Paesi europei come in Spagna. Un tempo ristretto che permette un numero di interventi maggiore: ad esempio negli Usa vengono fatti mensilmente dai 20 ai 30 trapianti di cuore da DCD.

In Italia?
Nel nostro Paese ci confrontiamo con una realtà legislativa complessa. Per dichiarare morto un individuo devono essere registrati 20 minuti di elettrocardiogramma piatto. Uno dei problemi posti per il trapianto da DCD era proprio sulla superabilità di questi 20 minuti. Gli studi deponevano per una difficoltà: le cellule del tessuto miocardico dopo 10 minuti perdono molto della loro capacità funzionale e non era chiaro se il progressivo deterioramento funzionale e morfologico avrebbe avuto possibilità di recupero. L’esperienza padovana ha dimostrato che la possibilità c’è.

Qual è la situazione nel nostro Paese per i trapianti di organi da DCD?
L’attività è iniziata da qualche anno, nel 2015, ma quantitativamente meno eclatante proprio per il limite dei 20 minuti e, finora, mai il cuore. Nel 2022 sono stati utilizzati ben 121 donatori DCD, in crescita rispetto al 2021 (80) e al 2020 (53), con aumento già nei primi tre mesi del 2023 (50%).

A Padova la prima volta per il cuore. Un record?
Ripetendo l’esperienza del primo trapianto fatto dal Professor Gallucci (il 14 novembre 1985), Padova è stata ancora la prima per il trapianto di cuore da cuore fermo. Insieme al gruppo di lavoro del Centro Nazionale Trapianti avevamo identificato delle linee guida per arrivare al trapianto di cuore da DCD. Prevedevano il prelievo dell’ organo e il trapianto nella stessa sede, si consigliavano donatori giovani per una maggior sicurezza di integrità morfologica e infine, non trapiantare pazienti particolarmente complessi. L’esperienza di Padova ha ribaltato anche questi paradigmi, con prelievo d’organo fuori sede (a Treviso), da un donatore 52enne, con trapianto su un paziente già operato due volte al cuore. Dobbiamo considerare anche un altro aspetto: al momento in cui viene prelevato l’organo dal donatore l’intervallo per il trapianto non deve superare i 30 minuti, visto il rischio di risultati peggiori. Padova ha superato anche questo record, con 47 minuti di intervallo, dimostrando che anche tempi più lunghi sono compatibili con un recupero funzionale.

Potrebbe significare un aumento dei trapianti?
Sicuramente ci sarà un incremento. L’ipotesi che arriva dagli Usa è quella di aumento del 30%, una previsione fatta però con il tempo di osservazione dei cinque minuti. In Italia, con il tempo di 20 minuti il tasso non sarà così alto, forse un 10%, ma è tutto da verificare. Siamo ancora in fase iniziale: di implementazione, ma anche di verifica. E il tutto andrà rivalutato a distanza per capire se questo tempo di arresto prolungato potrà dare delle conseguenze tardive.

I 20 minuti che la nostra legislazione prevede, hanno base medica?
No. Sappiamo che dopo cinque minuti di arresto cardiaco, anche il cervello è morto. I casi di auto-resuscitazione segnalati fino a sette minuti non sono credibili. La legge è datata. Ora il problema è stato ripresentato, ma modificare una legge sulla spinta professionale per l’uso di organi può essere mal interpretato. Perciò credo sia difficile.

Quali sono le difficoltà in Italia?
Il tasso dei donatori di almeno un organo per trapianti da DCD in Italia è del 65%. Un numero alto, ma l’età media dei nostri donatori è molto elevata (sopra i 50 anni) ed è quindi più difficile averli idonei. Inoltre, i DCD diventano tali per desistenza terapeutica, che in Italia è generalmente tardiva. Si moltiplicano gli sforzi per salvare vite, anche di fronte a danni cerebrali. Il tempo di permanenza in terapia intensiva è più lungo rispetto ai paesi anglosassoni e ciò comporta un paziente più compromesso. È bene evidenziare queste complessità: e con il risultato di Padova abbiamo dimostrato che anche nelle difficoltà l’Italia sa fare bella figura.


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