Attualità

PAROLA MIA – Trattori. Stellantis. Mittal. Ma tutti guardano Sanremo

di Francesca Albergotti -


Tutti guardano Sanremo. Non proprio tutti però. Dal 6 al 10 febbraio infatti quelli della Stellantis sono stati indaffarati a perseguire la loro missione: smontare sistematicamente stabilimenti in attività per poi mettere in vendita su immobiliare.it gli spettri dei capannoni abbandonati come fossero seconde case di Bellaria ereditate dal nonno. Mentre Il Volo intonava la prima nota di petto altri, quelli della Mittal, si stavano organizzando per sguainare una montagna di debiti seguendo uno schema che ricorda quello del cappellaio matto di Alice. E come successe ad Alice e a milioni di lettori, anche i creditori in affanno, gli operai e noi tutti non possiamo che rimanere sgomenti a scervellarci di fronte al delirante interrogativo che non avrà mai una soluzione “why is a raven like a writing desk?” (perché un corvo è come uno scrittoio?) che l’infido pazzo cappellaio rivolse alla bambina e la Mittal pone a noi. Mahmood si presenta con strepitoso look ispirato a una contemporanea divinità greca ma le lacrime di dolore e rabbia della mamma del bambino investito e ucciso da uno youtuber causate dall’ingiustizia della “non condanna” del colpevole patteggiatore, in virtù del diritto inviolabile di “rieducazione” dello stesso ma che avrebbe potuto e dovuto compiersi in carcere, le offuscano lo sguardo impedendole di apprezzare il talento del nuovo stylist del cantante. Geolier, il rapper che ha scelto di cantare in napoletano, non è stato tradotto né interpretato dalle migliaia di agricoltori che trascorrevano l’ennesima notte all’addiaccio raggomitolati nella cabina di un trattore a spasimare un aiuto da parte della politica per non essere costretti a cedere terre e animali a una multinazionale con sede legale in Lussemburgo. Chi avrebbe desiderato stravaccarsi sul divano e godersi lo spettacolo sono le 300 dipendenti dello storico stabilimento La perla senza stipendio da settembre. Non potranno farlo in quanto sono affaccendate a raggranellare qualche euro per poter sopravvivere cucendo gli orli dei pantaloni di caritatevoli vicini di casa e possono farlo solo di sera, quando tornano dall’azienda dove, anche senza essere pagate, continuano a presentarsi. I pescatori di Mazara del Vallo non hanno seguito Sanremo perché nei pescherecci non c’è la Tv, l’unico spettacolo concessogli è stata una nave da pesca tunisina che, priva di rilevatore satellitare e sciolta da calendari ittici, a poche miglia da loro pescava preziosi gamberi a strascico utilizzando una pratica vietata dalla UE in nome della sostenibilità. Neppure il nuovo eroe nazionale Sinner ha avuto modo di divertirsi e partecipare ai simpatici siparietti, anche se per educazione ha dichiarato che avrebbe fatto il tifo da casa rifiutando l’invito adducendo la scusa dell’allenamento è probabile che dopo una giornata di preparazione sia stramazzato in un sano sonno al primo fotogramma della pubblicità del divano “di qualità”. Anche la coppia Ferragnez non ha avuto voglia di godersi lo spettacolo: solo l’anno scorso ne avevano calcato il palcoscenico accolti e venerati come divi indiscussi dando l’opportunità a stampa, social e pubblico di disquisire su abiti, letterine, baci per contribuire splendidamente a fare dell’edizione 2023 il festival più seguito di sempre. Quest’anno invece sono stati tenuti alla larga dai fiori del palco e dalle prime file come fossero lebbrosi del Shanti Nagar, e per fortuna non gli è saltato in mente di postare cuori o cose simili in un impeto di giustificato, doloroso senso di esclusione perché si sarebbe “scatenato l’inferno”, molto peggiore di quello incoraggiato da Russel Crowe. Neppure io guardo Sanremo. Comincio a fare zapping compulsivo dopo i primi 3-4 brani perché la capacità di attenzione mi abbandona ma specialmente perché sono intrisa di quella spocchia generazionale ormai parte del mio patrimonio genetico a causa della quale, se anche solo per combinazione uno di noi avesse passato una serata in casa a vedere il festival di Sanremo e magari anche assistito alla vittoria dei Jalisse si sarebbe ben guardato dal raccontarlo: l’episodio sarebbe rimasto un segreto imbarazzante da portarsi nella tomba. Invece ora i miei figli sono in fibrillazione per la settimana del festival e organizzano serate pizza birra con branco di amici, partecipano con entusiasmo all’isteria collettiva del fantasanremo anche se non c’è niente da vincere se non la gloria, si intrattengono in appassionanti dibattiti su abiti, trucchi, pezzi e pettegolezzi vari. Con la cattura di mio figlio piccolo è caduto anche l’ultimo baluardo, quello dei millennials, ormai insidiosamente sedotti dall’ondata di rapper lamentosi racimolati da youtube o tictoc grazie a una scaltra e lungimirante direzione artistica. I miei figli, sorpresi ma più che altro infastiditi di fronte al mio atteggiamento beffardo verso la manifestazione hanno provato a persuadermi: “mamma smetti di fare la criticona, sei pesante, guardalo con noi che ci divertiamo, si fa per fare due risate, per distrarci un po’”. Magari hanno ragione loro. Fatto sta che sono rimasta sola, a canticchiare fra me e me “Non ho l’età” della Cinquetti. Anch’io, non ho l’età, per Sanremo.


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