Attualità

Trema la corona

di Nicola Santini -


Facciamo e faremo tutti ancora molta fatica ad immaginare un mondo senza la Regina. Compreso chi, a questo momento, si è preparato per tutta la vita. La notizia di un’assunzione a tempo indeterminato in età da pensione avanzata, anche se attesa, ha portato qualche sospiro di ansia a casa Windsor. Nascere erede al trono non è solo un privilegio, ma soprattutto un dovere. Lo sapeva bene Elisabetta II, che fu regina quasi per caso; lo sa Carlo III, fin dalla nascita, che sul trono ci è arrivato a ben 73 anni, caratterialmente l’opposto della madre, vessato dal padre, timido, riservato ed ecologista. Ma non meno devoto alla causa. Che il suo sarà un regno breve lo dice l’anagrafe. Ma lungo o corto che sia, l’eredità di un predecessore così ingombrante come la minuscola, gigantesca madre, è una gatta da pelare non da poco. Al netto della successione e del già avviato passaggio naturale di consegne, si sa che con la dipartita della regina Elisabetta, la monarchia, intesa anche come concetto più esteso dai confini del Regno Unito, cambia volto per sempre. E c’è chi riporta alla memoria le parole di re Farouk d’Egitto che nel 1948 (combinazione anno di nascita di Sua Maestà Carlo III, ndr) sostenne che “nel 21esimo secolo rimarranno solo 5 re: il re d’Inghilterra, il re di fiori, il re di denari, il re di cuori e il re di picche”. Non ce ne vogliano le altre, numerose, monarchie che ancora decorano l’Europa, ma qui la faccenda è molto più seria. Con Elisabetta sottoterra e Carlo sul trono, la monarchia avrà realmente la stessa influenza avuta fino ad oggi? Il carisma sembra aver saltato almeno 2 generazioni. Pure William, primo in linea di successione da ieri, non brilla per magnetismo, non farà la stessa leva che faceva sui primi ministri quando si presentavano a cospetto di sua Maestà, questo è facile da intuire. E dunque? E dunque lunga vita al Re, che però rischia di diventare poco più che un simbolo poco legato alla tradizione e al folklore. “La morte della mia amata madre è un momento di massimo dolore per me e tutti i membri della mia famiglia. Piangiamo profondamente la scomparsa di un amato sovrano e di una madre molto amata. So che la sua perdita sarà profondamente sentita in tutto il paese, nei regni e nel Commonwealth e da innumerevoli persone in tutto il mondo. Durante questo periodo di lutto e cambiamento io e la mia famiglia saremo confortati e sostenuti dalla nostra conoscenza del rispetto e del profondo affetto in cui la Regina era così ampiamente tenuta – ha dichiarato Carlo III da Buckingham Palace”. Un destino opposto a quello della madre, divenuta regina a soli 25 anni, con la quale ha avuto in comune il senso di obbedienza e devozione alla Corona, facendo i suoi compiti giornalmente, compreso quello di sposare Lady D, una donna che non amava, amatissima, invece dai sudditi, morta misteriosamente in un incidente stradale, quando erano già divorziati. Carlo ha poco tempo per lasciare il segno, e anche, si può dire, di tracciarne uno. Stringate le parole divulgate sul profilo ufficiale dove si legge che il neo Re “cerca, con il sostegno della moglie La Duchessa di Cornovaglia di fare tutto il possibile per fare la differenza in meglio nel Regno Unito e a livello internazionale”. Di fatto, da tempo svolgeva già le funzioni reali a sostegno della Regina e per conto della Regina. La formula “La Regina è morta, viva il Re” è precisa e in sync con il passaggio. L’incoronazione è pura formalità. Ed è questo ciò che gli esperti temono: che la Royal Family, che negli ultimi 70 anni ha avuto un peso molto sentito anche in politica, si limiti alle faccende di formalità, immagine e beneficenza, spostando il peso di certe idee, mai formalmente espresse, ma fungenti da collante e garanzia di unità, in faccende di costume spicciolo, che lasciano alla tribuna pura e partitica, le sorti del Paese in un momento così delicato.


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