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Triestina 55enne morta in casa, aveva chiesto suicidio assistito. E’ la prima volta in Italia

di Adolfo Spezzaferro -


Aveva chiesto di accedere al suicidio assistito: una donna triestina di 55 anni, affetta da sclerosi multipla secondariamente progressiva, è morta autosomministrandosi un farmaco in casa sua. Il decesso è avvenuto il 28 novembre a casa sua, a Trieste. Lo rende noto l’associazione Luca Coscioni. Anna (nome di fantasia a tutela della privacy), afferma l’associazione, è “la prima italiana ad aver completato la procedura prevista dalla Consulta con la sentenza Cappato, con l’assistenza diretta del Servizio sanitario nazionale”. E’ la terza persona seguita dall’associazione ad accedere alla morte volontaria assistita in Italia, la quinta ad aver avuto il via libera. Ad agosto anche la Asl locale aveva dato il via libera alla morte volontaria. Sul caso, come ricorda l’associazione Coscioni, si era espresso anche il tribunale di Trieste. “Il farmaco letale e la strumentazione sono stati forniti dal Ssn e un medico individuato dall’azienda sanitaria, su base volontaria, ha provveduto a supportare l’azione richiesta nell’ambito e con i limiti previsti dalla ordinanza cautelare pronunciata dal Tribunale di Trieste il 4 luglio, e quindi senza intervenire direttamente nella somministrazione del farmaco, azione che è rimasta di esclusiva spettanza della donna”.

Triestina 55enne è morta autosomministrandosi farmaco fornito dal Ssn, è il primo caso in Italia

La 55enne, spiega Filomena Gallo, avvocato e segretaria dell’associazione Luca Coscioni, “è la prima persona malata che ha visto riconoscere, da parte dei medici incaricati di effettuare le verifiche sulle condizioni, che l’assistenza continua alla persona è assistenza vitale, così anche la dipendenza meccanica non esclusiva garantita attraverso l’impiego di supporto ventilatorio nelle ore di sonno notturno”. Un precedente che mette in evidenza il paradosso rispetto a una situazione simile, quella di Sibilla Barbieri, “anche lei dipendente da trattamenti vitali ma costretta a morire in Svizzera”, perché il Lazio le aveva negato quanto permesso alla donna friulana. “Per la prima volta inoltre in Italia una persona ha avuto accesso all’aiuto alla morte volontaria interamente nell’ambito del Servizio sanitario pubblico a seguito dell’ordine di un giudice”. La donna triestina si era rivolta alla giustizia civile e penale per ottenere l’applicazione della sentenza Cappato. “Aveva voluto personalmente – sottolinea la Gallo – depositare dai carabinieri l’esposto contro l’Azienda sanitaria universitaria giuliana isontina e partecipare alla prima udienza civile in tribunale a Trieste, che ha poi emesso una ordinanza di condanna di Asugi di applicare la sentenza della Consulta. L’azienda sanitaria ha dato applicazione alla decisione del giudice e, sussistendo tutte le condizioni indicate dalla Corte costituzionale con sentenza 242/19, si è fatta carico dell’intero percorso. Ha dunque messo a disposizione il farmaco, la strumentazione e il personale sanitario su base volontaria”. E’ auspicabile che questa vicenda faccia scuola, così come la decisione del tribunale triestino.


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