Politica

Trionfo in Lombardia e Lazio

di Edoardo Sirignano -

GIORGIA MELONI ©imagoeconomica


Adesso canta Giorgia. Meloni vince il festival delle regionali. Non c’è Fedez che tenga. La foto di Bignami dalle acque di Sanremo non fa altro che tirare la volata a chi aveva già vinto. L’Italia resta a destra. La luna di miele non è ancora finita. Non cambia nulla rispetto alle politiche. La premier stravince anche le regionali e supera l’esame delle Midterm nazionali. Da Nord a Sud, il vento tira a favore di Palazzo Chigi, considerando le percentuali bulgare di Fdi. È quanto emerge dai risultati di Lazio e Lombardia. In entrambi i casi la coalizione conservatrice, supera la soglia del cinquanta per cento. La vittoria per l’esecutivo in carica va oltre ogni più rosea aspettativa. Tutti i sondaggi, infatti, davano per scontati i successi di Francesco Rocca e Attilio Fontana, ma difficile era immaginare una forbice così ampia. A confermare l’entusiasmo è la stessa premier, che è la prima a commentare su Facebook quanto uscito dalle urne: “Un importante e significativo risultato – scrive Meloni – che consolida la compattezza del centrodestra e rafforza il lavoro del Governo”. Non basta neanche una crisi senza precedenti e un’inflazione alle stelle, a far cambiare opinione a un popolo che ripone la propria fiducia nel primo presidente del Consiglio donna e nella sua maggioranza. C’è solo un travaso di voti all’interno della medesima squadra, ma nulla esce fuori dal recinto. Fratelli d’Italia sfrutta l’onda lunga nazionale e supera il 25 per cento. La Lega sopravvive in Lombardia, dove comunque mantiene il governatore e perde poco in Lazio. Forza Italia crolla al Nord, chiudendo l’era Berlusconi, sempre più padre nobile di un mondo e meno leader di partito e resiste a Roma, dove invece si consolida la guida di Antonio Tajani. Non c’è storia, al contrario, per il centrosinistra laddove si è votato. Compatto o meno non ci sarebbe stata alcuna differenza. Se il Partito Democratico, bene o male, si salva grazie al voto di apparato, considerando che cresce in Lombardia e non perde nel Lazio, il Movimento 5 Stelle, dimostra, ancora una volta, la sua inconsistenza sui territori, sia quando corre da solo che con gli alleati. Donatella Bianchi non supera l’11 per cento, mentre nel Lazio i grillini dopo il 18 per cento del 2018 non raggiungono neanche il 5 per cento. Medesimo ragionamento vale per il Terzo Polo di Matteo Renzi e Carlo Calenda. La scelta di andare con Letizia Moratti viene bocciata nei pressi del Pirellone. Quel mondo non premia i cambi di casacca. A Roma, invece, resta un lontano ricordo l’exploit di Calenda alle amministrative. Una cosa è certa, l’Italia da oggi è più blu. Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia e cespugli vari hanno due terzi dello stivale, ovvero 15 Regioni su 20. Basta disegnare la nuova mappa dello stivale, per scoprire, che dopo l’ultima chiamata alle urne, restano rosse soltanto Emilia, Toscana, Campania, Puglia e Trentino. La Lombardia, la locomotiva economica del Paese, si conferma roccaforte dei conservatori. Non bastano le spaccature della Lega, le fuoriuscite di Forza Italia (il contributo della Gelmini è impalpabile) e il Covid a indebolire gli uscenti. Nel Lazio, al contrario, finisce l’era Zingaretti. Gli elettori bocciano l’operato di chi è stato fino a ieri alla guida del palazzo di vetro della Cristoforo Colombo, mentre il sindaco di Roma Gualtieri resta sempre più solo. Non c’è civica che tenga. Prerogativa comune che riguarda entrambi gli schieramenti è appunto quella relativa alle liste senza simbolo, i cui numeri certamente non sono stati entusiasmanti. I pochi elettori al voto, considerando che l’affluenza è diminuita e non di poco rispetto a cinque anni fa, questa volta, non sono quelli delle truppe cammellate rosse, che possono accontentarsi di essere solo le prime tra le opposizioni, ma quelli della nuova destra moderata di Georgia, che a livello di percentuali, ricorda tanto la prima balena bianca del dopoguerra.  Ora Meloni è più forte.

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