PRIMA PAGINA – Nuovo cinema Trump
Non si riesce a stargli dietro: mentre il mondo si alambicca in pensose analisi per capire se, e come, i dazi cambieranno gli equilibri geopolitici internazionali (spoiler: sì, lo faranno eccome), Donald Trump è già altrove: a riaprire Alcatraz, ad armare corazzate da spedire alla conquista della Groenlandia, a blindare (e magari tentare di portare dalla sua) il primato americano nel cinema. Già, perché Trump ha dichiarato al mondo di essere pronto a stangare i film stranieri e quelli prodotti all’estero con l’arma finale, ossia i dazi al 100%. “L’industria cinematografica americana sta morendo molto velocemente, altri Paesi stanno offrendo ogni sorta di incentivi per attirare i nostri registi e gli studi cinematografici lontano dagli Stati Uniti. Hollywood e molte altre aree degli Stati Uniti sono devastate. Questo è uno sforzo concertato da parte di altre nazioni e, quindi, una minaccia per la sicurezza nazionale”. C’è pure l’Italia, chiaramente, tra chi attenterebbe al futuro del cinema americano. Ma, soprattutto, l’Ungheria: a Budapest costa tutto meno e qui, raccontano i tassisti con orgoglio, si girano scene (in teoria) ambientate a Parigi. Ma c’è altro: Alcatraz, sta per essere riaperta. Un simbolo, più che altro. Che sembra raccontare di come Trump ti supera l’impasse rimpatri: non gli fate rispedire in America Latina i membri delle gang? Li chiuderemo sull’isola più famosa (e temuta) del mondo. Infine, per non farsi mancare nulla, Donald Trump ha ribadito che ottenere la Groenlandia rappresenta una priorità assoluta per gli Stati Uniti. Alla Nbc, cui ha rilasciato un’intervista tv, il presidente ha spiegato che gli Usa hanno “un disperato bisogno” dell’Isola bianca e non ha escluso di considerare, come extrema ratio, l’ipotesi di un intervento militare. Una boutade ma senza dubbio; un’affermazione di forza dell’America rispetto al suo alleato fino a ieri più affezionato, ossia l’Europa. Che s’interroga. E mentre lo fa, si ritrova con Trump che, dopo aver nominato al Dipartimento della Salute il controverso virologo Steven J. Hatfill, sostenitore dell’uso dell’idrossiclorichina per combattere il virus del Covid, applaude al Segretario al Commercio Scott Bessent che chiede a tutto il mondo di investire in America. Ma Bruxelles ha altro a cui pensare. S’è infilata in (più di) un grosso guaio e adesso sta col fiato sospeso per capire che succederà a Mosca, tra qualche giorno. Le pressioni sui leader di Slovacchia e Serbia, Robert Fico e Aleksandar Vučić, affinché non si rechino nella capitale russa per festeggiare gli 80 anni dalla fine della Seconda guerra mondiale nella Piazza Rossa sembrano aver sortito gli effetti sperati. Entrambi sembrano indirizzati verso il forfait. Per i falchi del Cremlino, una notizia festosa che autorizzerebbe a congelare ogni sforzo e ogni dialogo (con Trump) per la composizione del conflitto con l’Ucraina. Il presidente americano ha detto a Nbc di aver percepito “molto odio” tra Putin e Zelensky e di non essere convinto che si possa arrivare a una soluzione a breve. Considerazioni che, però, son durate poche ore: nel pomeriggio Trump ha avuto un “ottimo colloquio telefonico con Erdogan”, che lo ha “invitato ad Ankara”. La Turchia è, dall’inizio della guerra, una delle parti diplomatiche più attive e rispettate: “Abbiamo parlato di molti argomenti, tra cui la guerra con Russia e Ucraina, tutto ciò che riguarda la Siria, Gaza e altro ancora”. Il Cremlino, allo stesso tempo, ha fatto sapere di sentire e condividere l’esigenza di un confronto tra Putin e il presidente Usa “ma non si terrà il 14 maggio”, quando Trump sarà in visita in Medio Oriente. Chissà se, anche questa notizia, rischia di finir superata dagli eventi. Intanto le parole del capo della Casa Bianca fanno insorgere il dibattito anche in Italia dividendo, al solito, Lega e Forza Italia. I vicepremier diversi, che più diversi non si potrebbe, hanno idee differenti sulla mediazione Usa. Matteo Salvini di dice ottimista e ritiene possibile la pace entro l’anno, Antonio Tajani ritiene che gli intoppi nei negoziati siano da addebitare ai russi ribadendo la postura del governo: “Noi siamo dalla parte dell’Ucraina e continueremo a sostenerla anche se l’obiettivo è quello di raggiungere una pace giusta”. E i dazi? Nessuno se ne è dimenticato. Il governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta, intervenuto alla 58esima riunione della Banca asiatica dello sviluppo, ha ribadito i pericoli delle tariffe (anche) sulle relazioni tra Europa e Sud-est asiatico (leggi Cina e satelliti) sottolineando che la Bce tiene al centro delle sue preoccupazioni le tensioni geopolitiche di questi mesi. Il ministro all’Economia Giancarlo Giorgetti, invece, sulla questione ha un altro approccio e ritiene questo “il momento di ripensare la globalizzazione così come l’abbiamo conosciuta” poiché “se è vero che l’economia globale ha beneficiato della liberalizzazione del commercio, lo è altrettanto che i frutti di questo processo non sono stati distribuiti equamente tra i Paesi”. E non si riferisce, Giorgetti, al “solito” Terzo Mondo sfruttato. Ma a noi e, in definitiva, all’Occidente. E questo non è cinema ma è il film che vediamo ormai da trent’anni e Trump ha deciso evidentemente di cambiare tutto.
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