Esteri

Trump contro tutti: countdown per la decisione del gran giurì

di Martina Melli -


Con il gran giurì di Manhattan in procinto di decidere la sua sorte, sembra finalmente arrivato il giro di boa per mr Trump, reduce da una settimana intensa tra presunte fughe di notizie, foto false del proprio (auspicabile) arresto e abituali attacchi alla stampa e al Dipartimento di Giustizia. Lo scorso sabato, all’apertura della sua campagna presidenziale 2024 a Waco, in Texas, di fronte a una platea di sostenitori in delirio, Big Donald ha sparato a zero su tutto e tutti: da Joe Biden, ai democratici; dai media delle “fake news”, alla Cina, ai clandestini, all’ “ingrato” DeSantis (sempre più vicino a candidarsi), fino alle procure e all’Fbi. Insomma chiunque si frapponga tra lui e il secondo mandato alla Casa Bianca. Trumpone ha aperto il macchiettistico comizio attaccando il procuratore distrettuale di New York che guida le indagini contro di lui. “Mi perseguita per qualcosa che non esiste, non è né un crimine né un delitto, non c’è stato nessuna storiella con quella faccia da cavallo che non mi è nemmeno mai piaciuta”. Il tycoon, col solito buon gusto, si riferisce a Stormy Daniels, la pornostar che nel 2016, prima delle elezioni, avrebbe ricevuto 130.000 dollari in denaro segreto dall’avvocato di Trump, Michael Cohen. La ragazza aveva cercato di vendere la storia della sua relazione con D.T. al National Enquirer. Cohen, che è stato rimborsato per intero dalla Trump Organization, è finito in prigione dopo essersi dichiarato colpevole di violazioni del finanziamento della campagna elettorale. Rispetto a questa inchiesta Trump ha parlato di “spettacolo dell’orrore da Russia stalinista”, di procuratore “manovrato dal ministero dell’Ingiustizia”. Ha anche promesso che se verrà (ri)eletto, “vendicherà” i suoi sostenitori. Ora, alla resa dei conti, ha ribadito che non si arrenderà neanche davanti a un potenziale processo. Ed è disposto a tutto. Così come lo sono i suoi fan. La settimana scorsa, dopo aver condiviso la voce del suo imminente arresto, ha incitato il suo popolo a scendere in piazza e a ribellarsi. “Riprendiamoci il Paese” ha detto, e ancora”Salviamo l’America”. Un appello grottesco e inquietante, che riporta alla memoria l’attacco di Capitol Hill e minaccia un’ulteriore spaccatura negli States. Se Trump davvero venisse arrestato, sarebbe un primato storico: il primo ex presidente americano con la fedina penale sporca. Intanto, la procura di New York è stata accusata di essere “corrotta, politicamente motivata” e “finanziata da George Soros”, uno dei nemici giurati del magnate. Poi, non è certo un caso che Trump abbia scelto Waco per aprire la sua campagna. Nel 1993 infatti, esattamente trent’anni fa, lì ci fu un assedio durato in tutto 51 giorni, dal 28 febbraio al 19 aprile. E’ stato chiamato assedio: un’operazione della polizia federale degli Stati Uniti (ovvero il famigerato Fbi) e dell’unità antiterroristica Delta Force con lo scopo di arrestare David Koresh, capo della setta religiosa dei davidiani. L’operazione si concluse con un incendio nel quale morirono 87 persone. Una vicenda quella, vista da molti estremisti di destra come un esempio degli abusi del Governo. Da parte di Trump, sembrerebbe proprio un tentativo di suggerire un’analogia con Waco, in quanto “perseguitato” dalla giustizia, per mobilitare la parte più radicale della sua base. Nonostante tutto questo “chiasso”, dai sondaggi risulta che la maggioranza degli americani è favorevole alle molteplici indagini penali sulla sua condotta.
Non solo. Il sondaggio di oltre 1.300 adulti ha anche rilevato che 6 americani su 10 non vogliono che sia di nuovo presidente. Un futuro presidente che deve affrontare almeno altre tre indagini penali: due federali, derivanti da documenti riservati trovati nella sua casa in Florida, e una che esamina il suo ruolo nell’insurrezione del 6 gennaio. La terza, dalla Georgia, relativamente alla sua campagna di pressioni per ribaltare i risultati fallimentari delle elezioni presidenziali del 2020.


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