Economia

Pharma: Trump usa i dazi per risolvere i guai Usa (ma paghiamo noi)

C'è l'accordo con Pfizer per abbassare il costo dei medicinali, quanto valgono le tariffe per il Made in Italy

di Giovanni Vasso -


Una cosa, almeno quella, l’abbiamo imparata: i dazi, per Donald Trump, rappresentano un efficacissimo strumento politico. Ed economico. Non sono (quasi mai) sceriffate senza significato, anzi. Più urla, apparentemente, senza un motivo ragionevole più, in realtà, persegue un obiettivo preciso. Ecco, prendete il caso dei farmaci. Dal nulla, qualche settimana fa, ha detto che avrebbe imposto nuovi dazi al 100% sui medicinali. Una minaccia, apparentemente, senza senso compiuto. Poi, col passare dei giorni, il senso delle parole di Trump sui dazi è diventato chiaro, lampante. Prima l’anglo-svedese Astrazeneca ha annunciato di volersi quotare a New York pur senza abbandonare, almeno per ora, né la Borsa di Londra né i mercati a Stoccolma. Poi la visione è diventata ancora più chiara quando la Casa Bianca ha annunciato l’intesa con Pfizer che punta a fornire agli americani farmaci a prezzi calmierati. O, quantomeno, a costi commisurati a quelli imposti sui mercati degli altri Paesi occidentali. Ma non è tutto, perché l’azienda ha pure accettato di piazzare i suoi prodotti sulla piattaforma di acquisto diretto TrumpRx.gov. Nell’ambito dell’intesa, i cui termini restano riservati, è stato pure deciso che la maggior parte delle terapie primary care saranno offerti, insieme a una selezione di brand specialistici, con prezzi scontati del 50%. Un bel colpo in un Paese, gli Stati Uniti, dove il costo dei farmaci, e più in generale della sanità (ricordate, Luigi Mangione?) è diventato impossibile da sostenere per la stragrande maggioranza delle famiglie. Trump, insomma, sta perseguendo scopi politici attraverso l’imposizione di strumenti economici utilizzati come una clava di coercizione. La partita, a quanto pare, è solo iniziata. Il presidente americano aveva chiesto a ben 17 case farmaceutiche la disponibilità a rivedere i prezzi dei loro prodotti. Il fatto che Pfizer, che non è di certo l’ultima arrivata, abbia scelto di dire di sì a Trump rappresenta, per la Casa Bianca, un indubbio successo politico. Il guaio, però, è che a fianco alle questioni interne, ci sono quelle degli altri. E i dazi imposti alla farmaceutica estera, a cominciare da quella europea e italiana in particolare, restano possibili fautori di problemi, serissimi, per i Paesi che li subiranno.

Ieri, a Roma, è stato presentato il rapporto annuale dell’Osservatorio In-salute realizzato da I-Com, l’Istituto per la Competitività. Davanti ai manager di importantissime aziende farmaceutiche, come Sanofi, Merck, Edwards, Abbott, Philips e Santhera, sono stati presentati i rischi che incombono sul comparto farmaceutico italiano. Che, stando ai numeri del report, rischia di perdere, in termini di giro d’affari, fino a quattro miliardi di euro. Un salasso che, secondo le proiezioni, nella migliore delle ipotesi si fermerà a “soli” 2,5 miliardi. Il guaio è che l’aliquota doganale al 15% è, finora, davvero il male minore. Al punto che, quando fu ufficializzata l’intesa tra Usa e Ue, l’intero comparto (minacciato da ipotesi tariffarie al 100%) tirò un sospiro di sollievo.

Ma, oltre Trump e i suoi dazi, sono emersi numeri e cifre molto interessanti sullo scenario nazionale. La produzione farmaceutica italiana è più che raddoppiata in dieci anni, raggiungendo i 54 miliardi di euro, pari al 2% del PIL, mentre l’industria dei dispositivi medici vale 12,4 miliardi sul mercato interno e 6,9 miliardi di produzione, per oltre 200 mila occupati complessivi La spesa farmaceutica delle famiglie italiane resta molto alta e, nel 2023, ha raggiunto ben 36,2 miliardi. Solo in Spagna si spende di più. Il problema è che solo il 64% è coperto dal sistema sanitario nazionale e il resto grava sulle famiglie. Inoltre, secondo gli analisti In-Salute, la spesa italiana è fortemente sbilanciata verso l’ambito ospedaliero che assorbe quasi il 70% del totale. Un altro problema, pesante quasi quanto i dazi di Trump, per le aziende farmaceutiche italiane è rappresentato dalla burocrazia. Bandi e progetti, mediamente, hanno tempi superiori nella misura del 30% rispetto a quelli medi nell’area Ue. I tempi lunghi pesano anche sull’accesso ai farmaci innovativi e su quelli cosiddetti “orfani” ossia quelli centrali e decisivi nella diagnosi e cura delle malattie rare. La disponibilità di questi medicinali, in Italia, è tra le maggiori in tutta Europa: sui 173 farmaci Ema, ne sono disponibili ben 146, pari al 75 per cento. Il problema, però, è che per ottenerli servono, in media, 439 giorni. In pratica, un anno e due mesi e mezzo. In Germania, per capirsi, bastano poco più di quattro mesi, mediamente 128 giorni.


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