Esteri

Trump, Epstein e lo scontro nei Repubblicani

di Redazione -


Nonostante i ripetuti tentativi della Casa Bianca di minimizzare il caso, i legami tra Donald Trump e Jeffrey Epstein continuano a sollevare polemiche e tensioni all’interno del Partito Repubblicano. Uno scoop del Wall Street Journal, escluso dal pool della stampa presidenziale proprio per aver riportato per primo i controversi rapporti tra il tycoon e il finanziere pedofilo, riaccende i riflettori su una vicenda che rischia di esplodere a ridosso delle elezioni. Secondo il quotidiano economico, lo scorso maggio l’ex procuratrice generale Pam Bondi avrebbe avvertito Trump che il suo nome compariva “più volte” nei file riservati su Epstein. Durante un incontro riservato alla Casa Bianca, Bondi e il suo vice avrebbero anche informato l’allora presidente che nei documenti erano citati oltre cento nomi di personaggi di alto profilo. Nonostante le promesse di trasparenza fatte in campagna elettorale, Bondi avrebbe poi manifestato l’intenzione di non pubblicare altro materiale, scelta che ha generato forti malumori tra gli elettori del movimento Maga. Il capo della comunicazione della Casa Bianca, Steven Cheung, ha liquidato il tutto come “un’altra fake news” del Wall Street Journal. Ma lo scandalo ha già lasciato il segno tra i repubblicani, dove lo scontro tra i conservatori più oltranzisti e i moderati si sta acuendo. La Camera ha annunciato per l’11 agosto l’audizione di Ghislaine Maxwell, l’ex collaboratrice di Epstein, attualmente detenuta in Florida. Secondo molti osservatori, Maxwell potrebbe rappresentare la chiave per decifrare la rete di contatti e connivenze intorno al finanziere. Alan Dershowitz, avvocato di Epstein e di molte altre celebrità finite sotto inchiesta, ha definito Maxwell “la Stele di Rosetta” del caso. “Mi è stato detto che sarebbe disposta a testimoniare, se le venisse concessa l’immunità”, ha dichiarato. Intanto, un giudice federale ha respinto la richiesta dell’amministrazione Trump di pubblicare le trascrizioni delle deposizioni raccolte dal grand jury. La Casa Bianca aveva chiesto anche di trasferire il caso a New York, dove Epstein era già stato incriminato nel 2019. Una mossa interpretata da molti come un tentativo estremo di tenere sotto controllo una vicenda sempre più esplosiva.


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