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Turismo delle radici: la Festa del papà

di Angela Arena -


Sono circa 60 milioni gli italiani emigrati nel mondo desiderosi di conoscere le proprie origini, un bacino di utenza enorme che potrebbe generare una spesa annua in Italia molto vicina agli 8 miliardi di euro, come emerso da un’analisi condotta da Confcommercio e Swg, presentata durante l’ultimo Ttg di Rimini, sulle comunità italiane di ben 8 Paesi tra cui: Argentina, Australia, Brasile, Canada, Francia, Germania, Regno Unito e Usa. In ciò risiede la decisione del Ministero degli Esteri di inquadrare il 2024 come l’“Anno delle radici”, trasposta in uno specifico progetto del PNRR con cui, peraltro, è stato istituito un passaporto dedicato, ovvero una card digitale, in vigore già dal 1° gennaio, che faciliterà la fruizione dei servizi turistici nel Belpaese agli italiani residenti all’estero, attraverso sconti e agevolazioni. Volta principalmente alla valorizzazione dei piccoli borghi e delle zone rurali, l’offerta relativa al ‘turismo delle radici’, coniuga la proposta di alloggi e enogastronomia alla ricerca storica dei luoghi natii come, borghi, case e cimiteri dove sono sepolti i propri avi. Pertanto, il 19 marzo, giorno dedicato alla festa del papà, può rappresentare un’emblematica occasione per tutti gli italo-discendenti che vogliono mettersi sulle tracce della propria identità, coincidendo con la festa in onore di San Giuseppe, padre putativo di Gesù e protettore dei padri di famiglia, che si ritiene essere morto in questa data. Culto che affonda le radici in un lontano passato e che trova spazio anche nei costumi popolari, in base ai quali, in alcune zone del nostro Paese, è usanza organizzare falò in piazza per salutare la stagione invernale e a cui spesso si accompagna la preparazione delle zeppole di San Giuseppe, dolce tipico della tradizione culinaria partenopea. Si tratta di antichi riti le cui origini andrebbero però alle celebrazioni delle Liberalia, ovvero baccanali celebrati dagli antichi romani il 17 marzo per omaggiare Bacco, divinità del vino, e Sileno dio del grano, durante i quali scorrevano fiumi di vino e ambrosia e si consumavano le serpula, antenate delle moderne zeppole, ovvero frittelle di frumento cotte nello strutto bollente, così chiamate perchè attorcigliate su se stesse ricordando la forma di una serpe. La prima ricetta ufficiale dell’iconico bignè fritto, ripieno di crema pasticcera, descritto anche da Goethe in visita al capoluogo campano sul finire del 1700, si trova nel trattato di Cucina Teorico-Pratico del noto gastronomo Ippolito Cavalcanti, Duca di Buonvicino, che nel 1837 la trascrisse nel suo libro in lingua napoletana.


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