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Turismo, le città vuote raccontano la crisi dell’home sharing

di Redazione -


Le previsioni sul turismo del 2019 davano una crescita costante fino al 2030: mai si sarebbe immaginato che una pandemia avrebbe sparigliato le carte dei pronostici. La World Tourism Organization (UNWTO), agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di far convergere i medesimi valori cooperativi nel settore turistico, e la stessa che aveva prospettato la crescita inarrestabile per il prossimo decennio, oggi si trova a interrogarsi su un nuovo futuro per il settore, uno dei più duramente colpiti dalla pandemia. Le conseguenze più evidenti e drammatiche del crollo degli accessi turistici si sono verificate nei centri storici delle grandi città, svuotati e con attività commerciali in grave difficoltà, in quanto dedite per lo più a soddisfare i bisogni del turismo e degli uffici, e ormai slegate dalla vita di quartiere in favore della gentrificazione.

 

Un nuovo paradigma dell’ospitalità

Da quando nasce, 12 anni fa, la più famosa impresa di hosting della Silicon Valley, il volto dell’ospitalità cambia completamente: Airbnb converte in turistiche le abitazioni private, rende il turismo più accessibile e offre un’alternativa ai grandi alberghi del centro, e in sostanza crea un nuovo mercato di proprietari che preferiscono affitti a breve termine, più redditizi di quelli a lungo termine. Il fatto di pernottare in un appartamento privato anziché in una struttura tradizionale offre, oltre a costi contenuti, una esperienza differente e più autentica rispetto agli spazi asettici e condivisi di un albergo tradizionale, tanto da diventare un mercato in forte espansione nell’ultimo decennio.

Ma nel capovolgimento dei pronostici e dei valori sperimentato nell’ultimo anno, l’ospitalità home made non ha più l’appeal di un tempo: l’emergenza sanitaria ha evidenziato l’importanza di standard e protocolli di igienizzazione rispetto a una gestione più informale dell’accoglienza. L’albergo viene avvertito come uno spazio più sicuro e formale rispetto alla casa di uno sconosciuto, e i flussi turistici, già decimati da chiusure e misure restrittive, hanno spesso favorito l’accoglienza tradizionale a quella nata in seno alla new economy. Forse in ciò ha inciso anche il senso di sicurezza e di controllo più presente sulle strutture alberghiere, rispetto ad altre attività che più facilmente sfuggono alle maglie della vigilanza.

 

Airbnb si quota in borsa mentre Roma perde il 75% delle prenotazioni

Insomma, se nel 2018 l’attività di home sharing ha fruttato alla sola città di Roma 1 milione di euro di introiti, oggi siamo di fronte a cancellazioni per il 75% delle prenotazioni, e vacilla la possibilità di ripagare mutui accesi per soddisfare la domanda di ospitalità extra alberghiera. Ciò non ha impedito la recente entrata in Borsa di Airbnb, programmata per l’inizio del 2020 ma slittata a causa della pandemia. Ci si chiede come sia stato possibile, nell’anno più drammatico del settore, quotarsi in Borsa e chiudere la giornata con un valore di 140 dollari per azione rispetto ai 68 stabiliti come prezzo di partenza; ma, a costo di licenziamenti del 25% del personale e di riduzioni importanti delle attività aziendali, l’impresa è riuscita a risorgere dalle sue ceneri.

 

L’affitto breve in molti casi non è più un’opzione per gli host

Lo stesso non vale per gli host che hanno visto le case vacanza svuotarsi e ridurre i propri utili in maniera drastica e importante. Airbnb ha instituito un fondo di 250 milioni di dollari per sopperire alle cancellazioni subite dagli host (che comunque versano all’azienda una percentuale sull’affitto), ma ciò non basta a ripagare mesi di prenotazioni perse. La soluzione più diffusa è stata la riconversione degli immobili verso affitti a lungo termine, con importanti ripercussioni sui guadagni, dal momento che l’affitto breve rende in media il 50% in più ed elimina il rischio di morosità. Se un appartamento che di norma fruttava 2.000 euro al mese con i turisti, oggi viene dato per 900 euro con contratti transitori di 6 mesi/1 anno, in attesa che si torni ai normali flussi prepandemici. Alcuni host hanno messo a disposizione gli immobili a prezzi agevolati per il personale sanitario impegnato in prima linea nella lotta al Coronavirus, sia per la necessità di isolarsi dal nucleo familiare in sicurezza sia per gli spostamenti lavorativi generati dall’assenza di personale nelle varie regioni. Alcuni, senza pensare alle conseguenze e alla componente di rischio, hanno fatto concorrenza ai Covid hospital delle Regioni proponendosi di ospitare chi, positivo al virus, deve fare la quarantena lontano dai conviventi, offrendo ai degenti una camera più confortevole e accessoriata di quella messa a disposizione delle autorità sanitarie. È di qualche settimana fa la notizia di annunci di locazione per positivi al Covid-19 in isolamento, che offrivano la possibilità di passare la quarantena in splendidi appartamenti al centro di Roma, e con un sovrapprezzo anche di ricevere il secondo tampone a domicilio (fonte: Repubblica del 12/11/20). La situazione è stata prontamente denunciata alle autorità, in quanto soluzioni prive di qualsiasi controllo e rischiose per gli abitanti dello stabile – inoltre non è garantito che la persona positiva non si allontani liberamente, a differenza degli alberghi controllati dalla Regione, dove si è sottoposti a sorveglianza sanitaria e per uscire è indispensabile un tampone di controllo con esito negativo.

Se in città il vuoto lasciato dai turisti stranieri si fa sentire, nelle province e nei borghi storici qualcosa si muove, grazie al turismo interno regionale e allo smart working che ha mandato in remoto migliaia di lavoratori. Molti, infatti, hanno scelto di lasciare le abituali residenze in città per spostarsi in provincia o nei luoghi di origine, generando un piccolo indotto per le strutture ricettive locali e ripopolando luoghi svuotati dall’immigrazione interna.

 

Turismo, i numeri della crisi

Nel 2019 la domanda turistica internazionale era cresciuta per il decimo anno consecutivo, prima di affrontare la sua peggiore crisi di sempre. La World Tourism Organization stima una contrazione dei flussi turistici internazionali del 70-80% nel 2020, con perdite tra i 900 e i 1.200 miliardi di dollari rispetto all’anno precedente. L’Unione europea in primavera, prima della seconda ondata pandemica, prevedeva perdite del 50% del fatturato per le strutture ricettive, del 70% per tour operator e affini, e del 90% per le compagnie aeree e il trasporto su navi da crociera. Ad oggi, la situazione italiana resta una delle più complesse, sia perché l’Italia è stato uno dei paesi più colpiti dalla pandemia e a livello internazionale questa fama continua a pesare, e sia perché sui flussi turistici esteri si fonda gran parte del turismo, soprattutto nelle città d’arte.

 

L’Italia sesta nel mondo per flussi turistici internazionali 

L’Italia è infatti al sesto posto nel mondo per mole di flussi turistici internazionali, stimati per 49,3 miliardi di dollari al 2018, per un valore aggiunto generato (ovvero che comprende gli effetti diretti e indiretti del turismo come investimenti, spesa pubblica ed esportazione di merci legati al turismo) per 275 miliardi di dollari e il 13,2% del Pil (fonte WTTC 2018). L’Italia è terza in Europa, dopo Spagna e Germania, per domanda alberghiera, con un numero di presenze pari a 428.845 nel complesso degli esercizi ricettivi; Stati Uniti, Russia e Cina la fanno da padrone in termini di accessi turistici extracomunitari, mentre in Europa i flussi principali giungono da Germania, Regno Unito, Francia, Svizzera, Austria.

Se i numeri parlano della ricchezza generata dai flussi turistici internazionali, dalle nostre città vuote può venire una dovuta riflessione sull’importanza di un turismo sostenibile e rispettoso dell’identità urbanistica.

Roberta Rega


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