Turista viene respinto dal ristorante per rispetto del “Childfree”
Un turista è stato respinto dal ristorante di uno stabilimento balneare a Milano Marittima a causa della presenza del figlio. Il motivo? Il ragazzino aveva meno di dieci anni. Come riportato dalla Gazzetta di Modena, il titolare dello stabilimento rispetto all’accusa rivoltagli dal possibile cliente, non si è minimamente scomposto, anzi ha rivendicato la sua scelta affermando: “Non odiamo i bambini, da 33 anni facciamo così. I clienti ci scelgono anche per questo. Vengono qui per la tranquillità, e sanno che non troveranno bimbi piccoli in giro”. E in nome di questa presunta “tranquillità”, nel suo locale non si accettano nemmeno feste di compleanno, addii al nubilato e al celibato. “Rinuncio a una barca di soldi, ma tutelo il mio lavoro… Lo sanno tutti, è sempre stato così da noi. E non violiamo alcuna norma”. Eppure, questa non è strategia di marketing o tutela del consumatore, ma un illecito. Una legge in realtà esiste ed è molto chiara. Secondo l’articolo 187 del Regio Decreto n. 635 del 1940, un esercente non può rifiutare la prestazione a chiunque ne faccia richiesta e sia disposto a pagarla, salvo motivi legittimi come la tutela della salute o la sicurezza pubblica. L’età non rientra quindi, tra questi motivi ed un pubblico esercizio in Italia non può discriminare sulla base dell’età. Ne consegue che nel nostro Paese, vietare l’ingresso ai bambini in un ristorante è, di fatto, illegale e sanzionabile anche con cifre che si aggirano dai 516 a 3.098 euro. Eppure, alcuni ristoratori aggirano la normativa giustificando la propria scelta con la volontà di “offrire un ambiente tranquillo” ai propri clienti. Da sottolineare che tutelare la tranquillità dei luoghi e l’educazione dei figli spetti ai genitori e dobbiamo ammettere anche che la negligenza genitoriale, spesso, sia evidente e si manifesti attraverso urla, capricci e corse tra i tavoli da parte di bambini privi di educazione. La vicenda del turista a Milano Marittima ha scatenato reazioni contrastanti. Da una parte c’è chi difende il diritto dell’imprenditore di scegliere il proprio target della clientela, ma dall’altro, chi – come il sindaco di Cervia, Mattia Missiroli – interviene con fermezza: “Non è ammissibile. Un locale dev’essere aperto al pubblico, bambini compresi. Escludere un bambino che vuole semplicemente mangiare col padre è lesivo per l’immagine della nostra località”. Ogni estate quindi, ritorna il problema che purtroppo non è una tendenza, ma un triste paradosso: i ristoranti (ma anche le spiagge) “childfree” che pur essendo illegali, continuano ad essere aperti. La frontiera della tranquillità e del relax abbraccia il vuoto di scelte molto discutibili e soprattutto fuori legge. Nelle maggiori mete turistiche italiane, dalla Toscana alla Lombardia, gli utenti segnalano ristoratori che tra la realtà e la provocazione, esibiscono cartelli all’ingresso dei locali riportando scritte come: “Vietato l’ingresso ai bambini sotto i 10 anni” o “Locale per soli adulti”. La scusa – o forse sarebbe meglio chiamarla la bugia – sarebbe quella di garantire un ambiente tranquillo, tutelando l’esperienza culinaria e preservando l’ambiente silenzioso, garantendo un ambiente esclusivo all’insegna dell’intimità dei clienti, contemplando la pace. In realtà, il messaggio neanche troppo nascosto sarebbe un altro: i bambini indipendentemente dall’educazione che possano avere (o meno) danno fastidio a priori. Fortunatamente, esistono numerosi esempi di ristoranti alternativi: i “family friendly” che dimostrano come sia possibile conciliare le esigenze delle famiglie con quelle degli altri clienti. Questi locali offrono spazi dedicati ai bambini, menù pensati per i più piccoli e personale che dovrebbe essere formato a gestire le diverse esigenze. Inoltre, iniziative come la guida “Ristoranti Family Friendly” promossa dal MOIGE e dalla Federazione Italiana Cuochi, presentano oltre 300 locali attenti alle esigenze delle famiglie, dimostrando che l’inclusività può essere anche una strategia vincente dal punto di vista della ristorazione, oltre che un diritto.
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