Cultura & Spettacolo

“Tutta la luce che non vediamo”, un capolavoro a metà sullo sfondo della seconda guerra mondiale

di Nicola Santini -


Posto che tutto ciò che riguarda la seconda guerra mondiale, anche se di straforo, io me lo guardo sempre con grande interesse, ammettendo anche una certa quantità di punto preso che mi spinge a guardare anche i disastri annunciati o quei titoli che promettono già tutto il trito e ritrito, mi sono seduto sul divano con tutti i migliori propositi per vedermi “Tutta la luce che non vediamo”, uscito dal 2 novembre su Netflix.

Come da me desiderato, si tratta né più né meno di una favola sullo sfondo della Seconda guerra mondiale che racconta un capitolo di vita di una ragazza francese cieca che invia trasmissioni illegali via radio e di un giovane soldato tedesco che ovviamente la ascolta e ovviamente fa di tutto per proteggerla. Tutto ovviamente perché tutto sembra scritto e di fatto lo è. Ed è un po’ il rischio delle produzioni nate da un romanzo che magari abbiamo già letto e che nella maggior parte dei casi era stato in grado di emozionare più di quanto non lo abbiano fatto regia, interpretazioni e fotografia. Che però, qui lo dico e qui lo giuro, non mi sono dispiaciute. Mi pare però che tutto renda onore alla storia best seller in libreria solo a metà.
Tratta dal romanzo omonimo All the Light we cannot see di Anthony Doerr che nel 2015 si è portato a casa nientepopòdimeno che il premio Pulitzer per la letteratura, la miniserie che mi sono sparato in un colpo solo, è pensata in quattro parti, ti piazza lì lo Steven Knight di Peaky Blinders e Taboo e Shawn Levy di Una notte al museo, Free Guy e Stranger Things al timone, un budget considerevolmente speso (e si vede) a una messa in scena curatissima e sontuosa.E fin qua, tutto bene.

Bene, sulla carta anche la trama: una storia che si articola in modo accurato su tematiche cruciali: dalla redenzione, alla grandezza del bene e del male, il fato, l’arte, la speranza. Il tutto condito però in modo non convincente. Forse perché il libro lascia immaginare con una regia che ognuno fa propria, ma la sensazione finale è quella di una bozza, che con un impegno ulteriore sarebbe stata capolavoro.

La trama funziona: Marie-Laure, parigina cresciuta col padre curatore di musei che le ha insegnato a muoversi nei meandri cittadini costruendo per lei mappe nella forma di precise miniature – si trasferisce a Saint Malo per sfuggire agli invasori nazisti. Sola, dopo la scomparsa misteriosa del padre, diffondendo la sua voce nella lettura Ventimila leghe sotto i mari di Verne dalla radio della sua soffitta. In realtà, invia trasmissioni notturne alla Resistenza per richiesta di uno zio, veterano di guerra.

Sulle tracce della protagonista, un ufficiale disposto a tutto per recuperare un gioiello trafugato, e il giovane soldato tedesco Werner, esperto di trasmissioni radiofoniche al servizio del Terzo Reich, nemmeno troppo convinto delle sue azioni, che si invaghisce di lei. Da vedere comunque.


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