Attualità

Uccise Sara per strada, si è ucciso in carcere a Messina

Aveva sempre manifestato la volontà di farla finita ma non era più in regime di sorveglianza

di Giorgio Brescia -


Nel pomeriggio di oggi, intorno alle ore 17, Stefano Argentino – aveva ucciso il 31 marzo scorso la 22enne Sara Campanella a Messina – si è impiccato nel carcere cittadino dopo essersi assentato da una riunione con i compagni di cella ed è stato poi ritrovato privo di vita dagli agenti della polizia penitenziaria. I soccorsi, allertati immediatamente, sono stati inutili. L’episodio ha portato all’apertura di una inchiesta interna per chiarire le condizioni di sorveglianza e il rispetto delle procedure, dato anche l’allarme lanciato dal personale sanitario nelle settimane precedenti sulla fragilità mentale del ragazzo.

Il suicidio dopo 4 mesi dall’omicidio di Sara

Sara Campanella era una studentessa di 22 anni, di origine palermitana, iscritta al corso di tecniche di laboratorio biomedico all’università di Messina.

Il 31 marzo fu uccisa con cinque coltellate tra schiena e collo, di cui una letale alla giugulare, mentre un’altra le aveva perforato il polmone. L’omicidio avvenne in strada a Messina, in viale Gazzi, nei pressi del Policlinico universitario, subito dopo una lite tra la vittima e l’assassino. Sara avrebbe provato a divincolarsi e a fuggire dopo essere stata affrontata, ma si accasciò a terra dopo qualche metro.

A colpirla fu Stefano Argentino, collega universitario di 27 anni che nutriva una ossessione per la ragazza, rifiutato da lei nonostante lunghe, pressanti e non corrisposte avances. Testimoni riferirono che la perseguitava da due anni con atteggiamenti di vero stalking.

La fuga, l’arresto, il carcere

Dopo l’aggressione, Argentino si diede alla fuga e si nascose in una casa di famiglia a Noto, nel Siracusano, aiutato dalla madre che – dichiarò successivamente – non sapeva cosa il figlio avesse realmente fatto, ma che temeva si sarebbe suicidato.

Fu arrestato in poche ore dai carabinieri e confessò integralmente l’omicidio, senza spiegare fino in fondo le motivazioni del gesto. Nei provvedimenti giudiziari venne poi sottolineato come avesse agito con efferatezza e “volontà di infliggere sofferenze aggiuntive”.

Dopo l’arresto, veniva detenuto nel carcere di Messina, inizialmente in regime di alta sorveglianza a causa dei forti pensieri suicidari già espressi dopo l’omicidio. Con il tempo, essendo “tornato a mangiare” dopo un lungo periodo di digiuno volontario e mostrando qualche segnale di ripresa, il livello di sorveglianza era stato abbassato. Al momento del suicidio, era in una cella con altri due detenuti e non più sorvegliato a vista.


Torna alle notizie in home