Economia

UE: IL MES? NON È SOLO  QUESTIONE DI SOLDI (MILIARDI)

di Redazione -


 

Italia sì, Italia no… Così cantava Elio e le Storie Tese nel 1996 nella popolare e irridente canzone “La terra dei cachi”.  Il ritornello torna in mente nella vicenda del Mes, il Fondo salva stati, nella contrapposizione politica sull’opportunità di aderire o meno al fondo che ci metterebbe subito a disposizione 36 miliardi di euro in forma di prestito quasi a zero interessi e a lungo termine con il solo vincolo che siano spesi a favore della sanità in forme dirette ed anche indirette.

Dal punto di vista strettamente finanziario il governo si troverà fronteggiare uno scostamento di bilancio di circa 50 miliardi: non potendo ricorrere a nuove tasse si potrà contare solo sui 36-37 miliardi del Mes e i 20 miliardi del Sure il fondo a disposizione dei paesi Ue per rafforzare i loro ammortizzatori sociali. Soldi (100 mld in totale) che saranno recepiti sui mercati con obbligazioni garantite dai governi dell’Unione. Il tutto per una cifra che supera i 50 miliardi dello scostamento di bilancio di fine anno.

Fin qui la parte dei “numeri” che lascerebbe poco spazio alle discussioni se non quelle relative alla quadratura dei conti. Ma la questione non è solo di tecnica finanziaria. Una volta verificato che i soldi non ci verranno dati da un usuraio che non aspetta altro per strangolarci si apre una valutazione politica sull’opportunità di accedere o meno al Mes. Purtroppo su questo punto si è aperta una discussione che  da parte di alcune forze politiche ha assunto aspetti ideologici che francamente non trovano riscontro nella realtà. In sostanza viene auspicato un no al Mes perché dietro al fondo si nasconderebbe proprio il “grande usuraio” che come un vampiro sarebbe assetato del sangue degli italiani e della loro sovranità ed autonomia in campo europeo. Prima di affrontare la dimensione politica reale che è in gioco, vale la pena di ricordare che l’Italia e gli italiani non sono così innocenti come si reclama di essere. Le diffidenze di partner europei, quando non sono pregiudiziali e interessate, qualcosa di concreto  lo hanno. Quante volte dichiarazioni impegnative dei nostri governi non hanno avuto il seguito giusto e dovuto? Quante volte sono state annunciate riforme che poi non sono andate oltre le dichiarazioni di intenti che pure sono state presentate come piani di riforma  senza però il necessario bagaglio di progetti, scadenze e verifiche di programma dei lavori da fare? Su questo è necessario fare un serio esame di coscienza. Ma la Ue non ci chiede di vestire il saio e di cospargerci pubblicamente il capo di cenere. Quello che ci si chiede è l’assunzione seria di una responsabilità. 

 

In sostanza con l’adesione al Mes si accetta (al di là degli impegni finanziari di molto alleggeriti) di aderire ad un impegno politico di fondo per la gestione del nostro debito dimostrando così di voler essere veramente parte del club. Cosa che avrebbe sicuramente un apprezzamento dei mercati che nel nostro voler essere del “gioco” saranno rassicurati rispetto al pericolo della “bomba” del nostro debito. 

Rifiutare il Mes è invece un messaggio politico opposto: vorrebbe dire facciamo da soli, rifiutiamo gli impegni politici e dare l’impressione che consideriamo gli aiuti (anche quelli della Bce) come atti dovuti.

Ma è solo con l’accettazione del Mes che affermiamo che vogliamo fare parte piena dei meccanismi della nuova Europa, quella che è stata adombrata da Angela Merkel e da Emmanuel Macron nella loro iniziativa che fa intravvedere la possibilità di andare oltre il vincolo dell’unanimità e dei ricatti dei piccoli “paesi frugali” che stanno operando per riportare la Ue ad un mero mercato comune.

Per tornare a noi se non si capisce qual è la vera posta politica in gioco, se non si è in grado di realizzare una unità nazionale intorno ai gravi problemi economici, sociali  e politici allora, come diceva  il titolo della canzone di Italia sì, Italia no veramente saremmo “la terra dei cachi”.

Angelo Mina


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