Industriali verdi di rabbia: “L’Ue che non fa, non serve”
Industriali verdi di rabbia: “Un’Europa che non fa è un’Ue che non serve”. No, fermi. Posate i forconi, deponete le armi. Non è il proclama di qualche movimento euroscettico sovranista magari finanziato dal Cremlino, no. È il grido di Emanuele Orsini, presidente di Confindustria. Che riassume l’allarme degli industriali europei che ieri si sono riuniti per il terzo Forum trilaterale italofrancotedesco tenutosi a Roma. Già, neppure i tedeschi non ne possono più dell’Europa della paralisi. E, pertanto, hanno deciso di firmare una dichiarazione congiunta per sollecitare Bruxelles “a un cambio di passo” nelle politiche industriali. Appello, va da sé, che Confindustria insieme ai francesi del Medef, Mouvement des Enterprises de France, e ai tedeschi di Bdi, Bundesverband der Deutschen Industrie, hanno lasciato aperto pure agli Stati membri e ai loro governi.
Le sei richieste degli industriali all’Ue
Sono sei i punti individuati dagli industriali per il rilancio, vero e non pro forma, della produttività in Europa. Al primo posto c’è la semplificazione e la necessità di completare il mercato unico per “eliminare le barriere che ancora limitano la libera circolazioni di beni, servizi, capitali e persone”. E sono molte di più di quanto si possano anche solo immaginare. Poi c’è la questione della decarbonizzazione. Va benissimo, agli industriali, impegnarsi per un mondo più pulito. A patto che gli sforzi si traducano in una molla, anzi “un motore di competitività” e non il solito tranello per frenare le imprese impastoiandole tra burocrazie e cavilli. Tre le priorità su questo fronte: riformare l’Ets europeo, in pratica il sistema sulle quote di emissione. E poi garantire che l’applicazione del Cbam, cioè i dazi legati alle emissioni stesse, sia “equa e coerente”. E quindi, riconoscere pari ruolo a tutte le fonti energetiche, dal nucleare al gas, passando per le rinnovabili e l’idrogeno.
Digitalizzazione e Ai sovrana
Gli industriali chiedono, inoltre, di recuperare la leadership tecnologica e digitale. E lo fanno deplorando che, nel territorio Ue, si produca appena l’11% dei semiconduttori mondiali e puntando al rafforzamento delle infrastrutture digitali, a cominciare dal cloud e dall’Ai “sovrana”. Non ditelo a Trump. E non ditegli nemmeno che gli industriali europei chiedono a Bruxelles di salvaguardare il “settore delle scienze della vita”. In pratica la farmaceutica che, da sola, ha registrato un surplus commerciale da 200 miliardi. “Per mantenere la leadership globale, l’Europa deve raddoppiare gli sforzi sull’innovazione, non indebolirla”, spiegano Confindustria-Medef-Bdi. C’è, infine, un’altra questione difficile per Bruxelles e delicata anche per gli industriali Ue. Quella delle armi.
Fare squadra in Difesa
“L’Europa deve colmare il divario con Stati Uniti e Cina, aumentando gli investimenti e promuovendo una politica industriale europea della difesa più coordinata”, si legge nel documento. Con l’auspicio di formare, tra le aziende della Difesa di Italia, Francia e Germania, alleanze e intese sempre più solide ai fini della costituzione delle economie di scala e di una tecnologia comune. Infine l’ultimo punto che li riassume tutti: accelerare, più che possibile, sulla competitività. “Un’Europa che non fa, non serve”, ha chiosato Emanuele Orsini. Che s’è detto, insieme ai colleghi francesi e tedeschi, delusissimo dall’accordo sul clima. Innanzitutto perché l’Ue si svela il solito bradipo burocratico: “Noi oggi abbiamo bisogno di azioni, il vero problema è che i tempi dell’industria non sono sincroni con i tempi dell’Europa; il rischio che l’industria europea per la competitività di altri continenti come la Cina e gli strumenti sia molto forte”.
“Occorre un cambio di passo”
Nella dichiarazione congiunta e finale del Forum, una dura reprimenda e un avviso: “È giunto il momento di riconoscere che l’Europa sta seriamente rimanendo indietro e che il rischio di declino e deindustrializzazione è oggi più alto che mai. Ora più che mai, deve affermare la propria indipendenza, proteggere la sicurezza comune e assumere la leadership nello sviluppo delle tecnologie essenziali per i propri interessi strategici”. Per farlo occorre che l’Ue si decida a “un cambio di passo nelle politiche industriali”. Perché “è giunto il momento di riconoscere che l’Europa sta seriamente rimanendo indietro e che il rischio di declino e deindustrializzazione è oggi più alto che mai”. La linea già c’è: “È tempo di compiere un passo avanti decisivo, in linea con le misure individuate nei Rapporti Draghi e Letta, per rafforzare la resilienza industriale e l’autonomia strategica del continente, colmare il divario di competitività nelle principali catene del valore e promuovere la ricerca e l’innovazione”.
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