Esteri

UE: RECOVERY FUND? NON DIRE GATTO SE…

di Redazione -


“Non dire gatto se non l’hai nel sacco” ammoniva il saggio Giovanni Trapattoni prima di partite di calcio ritenute facili e da molti di fatto acquisite.

Lo stesso ammonimento vale anche per la vicenda del Recovery fund (Next generation Eu, il nome ufficiale) che secondo una larga convinzione corrente sarebbe un traguardo ormai raggiunto con i suoi 750 miliardi di euro di cui  200 andrebbero al nostro Paese. Ma le cose non stanno così. O meglio la decisione del fondo straordinario per fare fronte alle economie e ai problemi dovuti alla pandemia da Covid 19 è stata presa, ma non è stato ancora concluso l’iter di approvazione che vale ricordare richiede l’unanimità del voto dei 27 paesi membri dell’Unione. Stando alla pura logica, tutti hanno un interesse a partecipare alla divisione del “bottino”  perché ogni paese ha dei problemi da affrontare, anche se non di uguale misura. Come è successo altre volte le decisioni tecniche hanno bisogno di un consenso politico, in realtà molti consensi che per ragioni estranee alla pandemia possono diventare ostacoli al Recovery fund. In sostanza Next generation Ue coincide con l’approvazione del bilancio pluriennale 2020-27 dell’Unione che ha già incontrato l’opposizione da parte dei cosiddetti “paesi frugali” guidati dall’Olanda di Mark Rutte che non intendono superare i 1.800 miliardi già approvati dai governi nazionali. Oggetto di controversia sono 39 miliardi aggiuntivi che la Commissione e l’Europarlamento ritengono indispensabili per la ricerca e il programma Erasmus. 39 miliardi di euro sono in assoluto una bella somma ma quasi niente rispetto ai 1.800 miliardi del bilancio, quindi è del tutto evidente che la questione in realtà è un pretesto. Da un lato c’è chi non vuole vedere aumentare la propria quota “associativa” dopo avere contestato un bilancio che si vorrebbe ben più ristretto a poco più di 1.100 miliardi. Ma c’è di più visto che c’è chi propone –“paesi frugali” in testa- di inserire il Recovery fund con i suoi 750 miliardi nel bilancio Ue col duplice obbiettivo di cancellare il carattere aggiuntivo e separato del fondo e  contemporaneamente tornare ad un bilancio di 1.100 miliardi o poco più. A questo punto si intravvede il vero obbiettivo politico: quello costante dei sovranisti che a varie riprese cercano di sottrarre poteri alla Commissione e all’Europarlamento a vantaggio del Consiglio dei ministri. In sostanza è l’ultimo tentativo di riportare la Ue nel quadro di rapporti intergovernativi con un ridimensionamento della Commissione e dell’Europarlamento. Il “colpo” è difficile ma se dovesse riuscire farebbe regredire la Ue di almeno dieci anni. I “paesi frugali” hanno nel frattempo trovato dei potenziali alleati nell’Ungheria e nella Polonia che bocciano la proposta della Commissione di subordinare l’assegnazioni dei fondi di spesa annuali al rispetto dello stato di diritto nazionali. In questa condizione si sono riconosciuti l’Ungheria e la Polonia. In particolare il premier ungherese Viktor Orban ha reagito con veemenza minacciando di porre il veto alla decisione del Consiglio ma soprattutto di fare votare il parlamento ungherese contro la ratifica del Recovery fund bloccando così l’approvazione che richiede l’unanimità. L’Ungheria rappresenta il 2% della popolazione totale dell’Unione e l’1% totale del pil della Ue a fronte del budget europeo dei fondi annuali ricevuti pari al 5% del suo pil nazionale. Ecco un esempio della tirannia delle minoranze che soffoca la Ue. Quello che ancora una volta è in gioco è il problema di fondo della scelta rispetto al quadro internazionale di una Ue gigante economico ma nano politico.

Angelo Mina


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