Esteri

Ue ultima chance lo stato di guerra non è più un tabù

La Commissione Europea non ha minimamente preso atto della reale entità della crisi, accecata dalle restrizioni contro Mosca.

di Adolfo Spezzaferro -


Ormai lo dicono tutti gli esperti: “Così ci facciamo male da soli.”

Le sanzioni colpiscono più l’Europa e soprattutto l’Italia che la Russia. Ora lo dicono anche gli analisti e ne prendono atto i sondaggisti, che intercettano il malcontento degli elettori. Il caro bollette potrà fare la differenza sul risultato del voto del 25 settembre, anche se l’impatto delle sanzioni contro la Russia sull’economia italiana non è stato ancora calcolato in termini di spostamento di voti verso i partiti antisistema, contrari non solo alle sanzioni ma anche alla Ue e alla Nato. Al di là di se e quanto l’emergenza inciderà sugli indecisi e soprattutto su chi si è astenuto nelle ultime consultazioni elettorali, il problema va ben oltre la campagna elettorale. L’Italia e la Ue non stanno facendo nulla per arginare il caro bollette che sta mettendo in ginocchio famiglie e imprese. Servirebbe lo scostamento di bilancio che chiede Salvini, ma Draghi è contrario. E a livello di Commissione Ue come al solito c’è poca carne al fuoco. Il Consiglio Ue del 9 settembre prossimo dal quale si attende una soluzione per il gas sarà pure “straordinario”, ma il linguaggio burocratico Ue sembra sterilizzare l’urgenza che invece preme in tutte le Cancellerie del continente. I ministri dell’Energia dei Paesi membri si riuniranno “per uno scambio di opinioni”. Le misure di emergenza da adottare sono ancora “eventuali”. L’impennata dei prezzi dell’energia è da “mitigare”, non da combattere decisamente e stroncare. E le azioni per il prossimo inverno sono sempre ferme allo stato di “preparativi” da verificare.

Il freno all’economia europea causato dagli effetti del conflitto russo-ucraino ha però altre facce, oltre a quella urgentissima del deficit energetico. Fin da febbraio, l’Europa discute delle iniziative da adottare per combattere la carenza delle materie prime, in particolare delle terre rare utili alle industrie specializzate. E, come ha rivelato qualche giorno fa la Frankfurter Allgemeine Zeitung, consisterebbe in una sorta di commissariamento graduale delle macchine produttive dei 27 Paesi membri. Nella scia di quanto affermato dal commissario al Mercato interno Thierry Breton che aveva sollevato la necessità di un dibattito concreto sulle esigenze di queste materie per svincolarle dal rallentamento fin qui imposto dalle premure ambientali e localistiche, il piano trae origine dalla necessità di tenere sotto controllo i flussi di forniture nei singoli Stati, per monitorarne e gestirne anche direttamente le scorte, in caso di emergenza.

Il proposito sarebbe quello di assicurare in ogni Paese la produzione, senza che le scorte prendano altre strade. La dinamica del processo sarebbe graduale, dalla “vigilanza” iniziale alla “crisi acuta”. Ma è già definito l’obiettivo, che si vuole ancorare ad un sicuro risultato, nell’ottica della centralizzazione delle decisioni nelle mani dell’Europa: impedire che gli Stati membri – ma poi, alla fine, la libertà d’impresa delle aziende sui singoli territori nazionali – arrivino a limitare gravemente il mercato interno durante l’accertata crisi. Come avvenne, al tempo dello scoppio della pandemia, allorquando si registrarono divieti all’export delle mascherine. Insomma, in nome della trasparenza e della sicurezza complessiva del mercato interno, l’Europa assumerebbe la regia della produzione negli Stati membri. Una proposta che già fa discutere e che genererà di sicuro polemiche nel Parlamento europeo e nel Consiglio dei ministri dell’Ue che dovranno approvarla.


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