Cinema

VISTO DA – Un altro ferragosto, un’altra Italia

di Martina Melli -


Un film che è una sequenza di schiaffi d’aria in faccia, dolci e schioccanti allo stesso tempo. Provo a spiegarmi. Un altro ferragosto tenta, con successo, un’operazione delicata: tornare a Ventotene 28 anni dopo con i personaggi originari e le loro rispettive diramazioni nel futuro. Ferie d’agosto, anno domini 1996, era stato un cult: tramite la contrapposizione delle due famiglie – i Molino & friends (Roberto donnaiolo e giramondo, la coppia di zie lesbiche) e i caciaronissimi Mazzalupi – specchio del tempo, del berlusconismo, della televisione fagocitante, dello snobismo della sinistra. Si sente la mancanza dei compianti Ennio Fantastichini e Piero Natoli, ma lo spirito del sequel è invariato, sicuramente potenziato, forse esagerato. Un altro ferragosto perché i tempi sono cambiati, il Paese è un altro, noi siamo gli stessi ma diversi, invecchiati, più social, più disillusi. Silvio Orlando, nonostante entrambe le pellicole corali, era ed è il volto nel cuore del film, quello più accorato e alienato insieme, quello che più si avvicina a un protagonista. Un protagonista che sta morendo, sta sbiadendo. Il suo personaggio, Sandro Molino, più di tutti rappresenta l’anacronismo, “la constatazione di un mondo che è sfuggito alla comprensione di chi ha continuato a credere in certi ideali”, per usare le parole di Laura Morante. Sandro, ex giornalista dell’Unità, dedica le sue ultime energie al nipotino Tito, a cui vuole trasmettere i valori antifascisti e col quale scrive una lettera a Ursula von der Leyen affinché si impegni a preservare la memoria dei partigiani che furono confinati sull’Isola di Santo Stefano. Dall’altra parte i Mazzalupi: Ruggero e Marcello non ci sono più; Marisa (Sabrina Ferilli) resiste sconfitta, la sorella Luciana svanisce lentamente. Sabrina, l’ex ragazzina innamorata di Ivan, è oggi una celeberrima influencer. Ha mantenuto la spontaneità e forse è l’unico personaggio veramente positivo, autentico, ancora vitale, del secondo capitolo. Interessante la scena del matrimonio, quando risponde con accoglienza all’invettiva politically correct dei Molino. Sabrina vorrebbe capire, superare l’ignoranza, imparare. Lei è il popolo, il proletariato che prima si rifugiava nella televisione e ora nei video tutorial. L’Italia popolare che la sinistra ha tagliato fuori a suon di film d’autore ed elitarismo radical chic. La sinistra che ha perso di libertà e che non esiste più, come aveva profetizzato un giovanissimo Ivan nel film del ’96. Quelle figure mitologiche del partito comunista, i padri e le madri costituenti, oggi sono solo nei sogni in bianco e nero di Sandro, al quale, più concretamente che mai, suggeriscono di curare la realtà, il privato, gli affetti, la vita vera. L’unica figura davvero contemporaneo, introspettiva, è il figlio di Sandro e Cecilia (Laura Morante), l’omosessuale Altiero. Un cervello in fuga che negli Usa, grazie all’implementazione di un app di messaggistica, è diventato miliardario e ora paga la vacanza a tutta la famiglia.


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