L'identità: Storie, volti e voci al femminile Poltrone Rosse



Giustizia

Un Sì trasversale al referendum sulla riforma della Giustizia. Come sulla lotta alla violenza di genere. Intervista ad Anna Paola Concia

di Giuseppe Ariola -


“Sono da sempre favorevole alla separazione delle carriere e quindi quando è stata approvata la riforma della giustizia mi è sembrato totalmente naturale sostenere il referendum. Anche perché sono in buona compagnia. E’ un tema sul quale a sinistra il dibattito sempre stato aperto, ci sono state tante proposte di legge, esponenti di grandissima autorevolezza hanno sempre sostenuto la separazione delle carriere. Faccio solo un nome, Augusto Barbera, ex presidente della Corte Costituzionale, ex senatore del Pci. La separazione delle carriere era una delle proposte della sinistra e del Pd. Da libera cittadina ho deciso di essere coerente con quello che ho sempre pensato”. Arriva subito al dunque Anna Paola Concia, già deputata del Pd e oggi tra i fondatori del comitato ‘Sì Separa’ promosso dalla Fondazione Einaudi.

Alla luce di ciò, come valuta la posizione del Pd?

“Purtroppo, oggi viviamo in un’epoca in cui c’è una polarizzazione esagerata, una contrapposizione selvaggia. I referendum, però, vengono indetti per dare ai cittadini la possibilità di esprimersi su uno specifico provvedimento che è stato approvato dal Parlamento. Sono quindi sorpresa, perché i referendum non si fanno per mandare a casa i governi, ma perché i cittadini si possano esprimere nel merito delle riforme. Faccio due esempi. I referendum che hanno avuto più successo e che sono stati votati trasversalmente da forze politiche diverse sono stati quello sul divorzio e quello sull’aborto. Questo referendum non dovrebbe essere politicizzato. Si può essere d’accordo o meno, per carità, ma in modo trasversale. I cittadini vengono chiamati non per dire sì o no al governo di Giorgia Meloni. A noi del comitato della Fondazione Einaudi, dove ci sono persone con storie ed esperienze politiche diverse non interessa questo. Ci interessa solo ed esclusivamente il merito di questa legge”.

Un’obiezione che si fa alla riforma è che non risolve tanti dei problemi della giustizia. Certamente è vero, ma basta per schierarsi contro?

“Sicuramente questo provvedimento non risolve tutti i problemi della giustizia, ma perché non è il suo intento. Questa legge ne affronta una parte ed è il compimento, come dicono Cassese e Barbera, di una riforma che nasce nell’89 con Vassalli nella quale si gettano le basi di questa legge. Cioè, il giusto processo, l’equilibrio all’interno del processo tra difesa e accusa”.

Oggi è la giornata contro la violenza sulle donne. Tutti dicono che nel contrasto a questo vero e proprio dramma è stato fatto tanto, ma che ancora tanto c’è da fare. Il principio è un po’ quello che sottende questa riforma della giustizia: se mai si inizia, se mai si finisce. Lei cosa ne pensa?

“È assolutamente la stessa cosa. Questa non è l’unica riforma di cui ha bisogno la giustizia, ma è un primo passo verso una giustizia più equa per i cittadini. Soprattutto, all’interno di un processo, qualcosa in cui tutti potrebbero incappare. Sulla violenza di genere, tanto c’è da fare, nonostante tanto si sia fatto in questi anni. Tutti i governi hanno provato a incidere su questo terribile fenomeno, più efficacemente o meno efficacemente. Certo, è un processo soprattutto culturale, non bastano le leggi. Chiunque si occupa di questo tema sa benissimo che la violenza di genere non si può estirpare soltanto attraverso la repressione del fenomeno. Ultimamente c’è stata una convergenza tra Giorgia Meloni ed Elly Schlein su un provvedimento che riguarda gli stupri. Quindi, evidentemente, c’è una volontà bipartisan di affrontare seriamente il problema. Sia sulla giustizia che su questo tema, che poi riguarda anche la giustizia, bisogna fare dei passi avanti insieme e tutto ciò che va in questa direzione è una cosa positiva”.

C’è qualcosa che la stupisce particolarmente di chi è schierato sul fronte del No?

“Una delle cose che mi fa specie è che abbiamo più fiducia nei giudici noi del Sì che chi sostiene il No. Quando i magistrati dicono che non tutti i loro colleghi possono far parte del Csm, i cui componenti con la riforma saranno scelti per sorteggio, pongono un’obiezione abbastanza inquietante. Un giudice vince un concorso, giudica sulla vita delle persone, ma secondo qualcuno non può far parte del Csm. Perché? Tra l’altro, occorrono dei requisiti per poter essere sorteggiati. E’ paradossale che noi del sì abbiamo più fiducia nei magistrati di quanta ne abbiano i magistrati stessi. La ragione è perché non sono più le correnti a decidere. E’ abbastanza surreale una cosa del genere”.


Torna alle notizie in home