Ambiente

Una Cop26 che raggiunge un accordo con le ruote sgonfie. India fuori dalle regole delle difese climatiche globali

di Redazione -


La COP26 di Glasgow si chiude con un’intesa sull’impegno internazionale contro l’emergenza climatica, ma indebolita dal blitz finale dell’India, benedetto dalla Cina, sul carbone. Nel ‘Glasgow climate pact’ resta però “vivo” l’impegno per mantenere l’aumento globale della temperatura media globale entro +1,5 gradi come soglia massima a fine secolo, anche se “ammaccato”. In generale nell’accordo finale resta un impegno per tagli alle emissioni del 45% al 2030 sui livelli del 2010, puntando a zero emissioni nette intorno alla metà del secolo, una formula ritenuta da molti troppo vaga. Gli impegni dei vari paesi riuniti al summit in Scozia, però, secondo le stime più ottimistiche consentono un +1,8 gradi e secondo le più severe, come quelle del Climate Action Tracker, un +2,4 gradi (sempre se gli impegni verranno davvero mantenuti. Alla COP21 di Parigi, della quale la COP26 puntava a “scrivere le regole”, nel 2015 si decise di rimanere “entro +2 gradi puntando a +1,5 gradi”. C’è ancora molto da fare, e tutti i 197 paesi riuniti hanno convenuto di ritrovarsi il prossimo anno a un tavolo negoziale per riesaminare i propri piani nazionali – gli NDC, Nationally determined contributions, i contributi determinati a livello nazionale per il taglio delle emissioni ‘figli’ dell’Accordo di Parigi di 6 anni fa – con l’intenzione di aumentare la propria ambizione. La differenza in positivo è che l’intesa della COP21 prevedeva una revisione ogni 5 anni, quella del 2020 era saltata causa pandemia, la prossima sarebbe dovuta avvenire nel 2025, avrà invece luogo nel 2022. Pesa l’assenza di impegni chiari per il fondo da 100 miliardi di dollari all’anno ai paesi più vulnerabili da istituire entro il 2020, deciso alla COP15 del 2009 e confermato dall’Accordo di Parigi della COP21 del 2015, sul tema si rimanda a riunioni ministeriali. Criticato anche, soprattutto dai paesi più fragili, il mancato accordo per un fondo di ‘loss and damage’ per aiutare i paesi più poveri ad affrontare le conseguenze del cambiamento climatico. Da questo punto di vista c’è stato un compromesso per un “dialogo” a cadenza annuale da qui al 2024 su come raggiungere un accordo. Non si è raggiunta l’intesa sullo stop al carbone: infatti, quando l’accordo è stato messo al voto alla plenaria, per il necessario ok unanime dei 197 paesi riuniti, c’è stato il ‘colpaccio’ dell’India che con un intervento dell’ultimo minuto ha chiesto e ottenuto, a tempo scaduto di cambiare il testo da “coal phase out”, cioè abbandono, a “coal phase down”, cioè riduzione, per lo sconforto di Alok Sharma, presidente della COP26. Positiva, però, l’intesa a sorpresa, e di grande valore strategico, tra Cina e Stati Uniti, con l’inviato di Pechino Xie Zenhua che ha dichiarato di voler collaborare con Washington “per affrontare una emergenza che mette a rischio la nostra stessa esistenza” e quello dell’amministrazione Biden John Kerry che pur riconoscendo che con il gigante asiatico “ci sono differenze” sottolinea come “sul clima dobbiamo agire nella stessa direzione”. Bene anche gli accordi sullo stop alla deforestazione entro il 2030, sull’impegno di 105 paesi (ma senza Cina, Russia e Australia) per la riduzione delle emissioni di metano del 30% entro il 2030 e sullo stop agli investimenti sui combustibili fossili all’estero. Impegni che saranno verificati alla COP27 di Sharm el Sheik in Egitto del prossimo anno. Per quanto possa sembrare strano, un risultato significativo dell’accordo è la menzione esplicita della necessità di intervenire sui “combustibili fossili inefficaci”, visto che nell’accordo di Parigi i termini “carbone”, “petrolio”, “gas” e “combustibili fossili” non venivano esplicitamente citati. L’accordo raggiunto ha poi risolto alcuni problemi tecnici in sospeso che sinora avevano impedito l’entrata in vigore di alcuni aspetti dell’Accordo di Parigi del 2015 (l’articolo 6) relativi al mercato del carbonio e alla “trasparenza” del monitoraggio e comunicazione da parte dei paesi delle emissioni e sulla compravendita di quote di emissione dagli stati più virtuosi. “Possiamo dire con credibilità che abbiamo mantenuto in vita il limite di +1,5 gradi ma il suo polso è debole e sopravviverà solo se manteniamo le nostre promesse e traduciamo gli impegni in azioni rapide”, ha detto Alok Sharma, presidente della COP26. “Non è un compromesso annacquato, dovevamo portare a bordo tutto il mondo, più di 195 Paesi, con un accordo che doveva tenere la barra a +1,5 gradi il riscaldamento globale e non a +2 gradi”, ha detto il ministro per la Transizione ecologica, Roberto Cingolani, a Rainews24, “India e Cina hanno posto sostanzialmente un veto, hanno chiesto un alleggerimento di una condizione che, posso garantire, è abbastanza marginale, però questo ci ha consentito di averli a bordo nella COP che adesso ha sancito le regole di trasparenza e implementazione per quello che faremo nei prossimi anni“, Ciò detto, “non sono soddisfattissimo”, ha aggiunto, ma “mi rendo conto che con queste dimensioni a questi livelli, purtroppo il compromesso è parte del mestiere. Qui non si tratta di tecnica, ma di diplomazia”. Per il Wwf la COP26 si è conclusa “con decisioni deboli in una serie di aree importanti, tra cui l’adattamento, il cosiddetto Loss and Damage (perdite e danni) e la finanza climatica” ma “nel testo ci sono degli appigli significativi che i paesi possono sfruttare per aumentare le proprie ambizioni climatiche a breve termine e per implementare politiche climatiche vincolanti”. Però l’accordo “per la prima volta menziona i sussidi ai combustibili fossili in un testo finale approvato”, riconosce l’associazione del Panda, e “questo è un elemento importante, così come il riconoscimento della necessità di accelerare gli investimenti in energia pulita, garantendo allo stesso tempo una giusta transizione”. Secondo Jennifer Morgan, direttrice esecutiva di Greenpeace International, quello di Gladgow “è un accordo debole e manca di coraggio. L’obiettivo di limitare il riscaldamento globale entro la soglia di 1,5 gradi è appeso a un filo ma è stato dato un chiaro segnale: l’era del carbone è agli sgoccioli e questo conta. Mentre si riconosce la necessità di tagliare in modo drastico le emissioni già in questo decennio, gli impegni sono stati però rimandati al prossimo anno. I giovani cresciuti con la crisi climatica non potranno tollerare altri rinvii. Perché dovrebbero quando lottano per il loro futuro?”. Severo, come era facile immaginare, il giudizio di Greta Thunberg: “La Cop26 è finita. Ecco un breve riassunto: Bla, bla, bla. Ma il vero lavoro continua fuori da questi saloni. E noi non ci arrenderemo mai, mai”, ha scritto su Twitter.


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