Cultura & Spettacolo

Una pagina poco nota della nostra storia “Carabinieri Kaputt!” di Maurizio Piccirilli

di Redazione -


Un episodio poco noto delle vicende italiane dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 è quello della deportazione in massa dei carabinieri di stanza a Roma avvenuta su ordine del Ministro della difesa della Repubblica Sociale Italiana, generale Rodolfo Graziani e del colonnello Herbert Kappler, capo delle SS a Roma, che avevano intimato ai carabinieri di rimanere confinati nelle caserme e consegnare le armi. In questa maniera le SS, il mattino del 7 ottobre 1943 riescono a fare prigionieri 2.000 carabinieri che sarebbero stati di intralcio al rastrellamento e alla deportazione, una settimana dopo (16 ottobre 1943), degli ebrei romani dal Ghetto. Il fotoreporter Maurizio Piccirilli, classe 1954, nel suo ultimo libro “Carabinieri Kaputt! I giorni dell’infamia e del tradimento” (Edizioni All Around, pag. 128, euro 14,00) ricostruisce – attraverso il racconto di un maresciallo dei carabinieri che tenne un diario dettagliato degli eventi, dalla cattura fino alla liberazione dai campi di concentramento, e i memoriali inediti di tre sopravvissuti –  l’arresto dei carabinieri, per lo più giovanissimi, che furono radunati nella sede della Legione Allievi di Roma e poi condotti alle stazioni ferroviarie di Ostiense e Trastevere da dove, con più treni e in condizioni disumane, vennero avviati verso i campi di concentramento dove alcuni furono uccisi e molti altri morirono di fame, malattia e maltrattamenti. 

La “vicenda” dei Carabinieri deportati, e privati della loro dignità, è “rimasta un racconto carsico nella storia della tragedia che colpì l’Europa con la Seconda guerra mondiale”. Il libro di Maurizio Piccirilli riporta pienamente alla luce gli eventi di quel 7 ottobre che per molti militari si conclusero con la morte per stenti. Quella mattina, all’alba, i nazisti circondarono le caserme dei Carabinieri e li deportarono nei lager in Germania, in Austria e in Polonia. Il racconto riemerge, oltre che dai memoriali, pubblicati per la prima volta, “dalle lettere inviate dal lager, dai racconti di chi ha vissuto e mai più dimenticato l’abisso della follia diventato sistema”. Accanto al racconto della prigionia nei campi di concentramento, “Carabinieri Kaputt” ripercorre anche la straordinaria storia dei militari sfuggiti alla cattura e delle loro compagne, che divennero punto di riferimento della resistenza romana, attraverso il racconto di un carabiniere sopravvissuto per caso a una fucilazione, le storie degli ufficiali trucidati a Roma alle Fosse Ardeatine e l’elenco di novanta nomi di carabinieri detenuti nel campo di concentramento di Rosenheim.

Nella foto di copertina del libro è riprodotta la “pietra di inciampo” che ricorda l’evento, collocata il 28 gennaio 2010, nel corso di una cerimonia celebrativa, davanti all’ingresso esterno principale della Caserma della Legione Allievi Carabinieri di Roma “O. De Tommasi”, in Via Gen. C.A. Alberto dalla Chiesa nel quartiere Prati, insieme ad altre 12 con inciso il nome di altrettanti  carabinieri morti nei lager.

In quella occasione, il Gen. di Corpo d’Armata Giovanni Nistri, ha ricordato che il disarmo dei carabinieri fu voluto dai  nazisti come “resa dei conti con quei soldati che il 25 luglio del 1943 avevano arrestato Mussolini; che, dopo l’8 settembre, avevano resistito armi in pugno all’occupazione tedesca di Roma; che avevano partecipato alle quattro giornate di Napoli della fine di settembre” e perché i comandi tedeschi temevano che il giuramento di fedeltà reso dai Carabinieri al Re potesse frapporsi alle loro azioni di rastrellamento in atto e di quelle previste a danno della comunità Ebraica di Roma e nel resto d’Italia.

 Le “pietre di inciampo”, dette anche “pietre della memoria”, sono targhe d’ottone della dimensione di un “sampietrino” di cm 10×10 (il selcio che lastrica gran parte delle strade di Roma e in particolare Piazza San Pietro), sulle quali sono incisi il nome della persona, l’anno di nascita, la data, l’eventuale luogo di deportazione e la sua data di morte, se conosciuta, “informazioni che intendono ridare individualità a chi si voleva ridurre soltanto a numero”, ideate dall’artista tedesco Gunther Demnig per depositare, nel tessuto urbanistico e sociale delle città europee, una memoria diffusa dei cittadini  vittime del nazismo, indipendentemente da etnia e religione, da collocare, per mantenerne vivo il ricordo, davanti alla porta della casa in cui abitarono o nel luogo dove furono fatte prigioniere. L’espressione “inciampo” deve dunque intendersi non in senso fisico, ma visivo e mentale, per far fermare a riflettere chi vi passa vicino e si imbatte, anche casualmente, nell’opera. 

Con “Carabinieri Kaputt”, Maurizio Piccirilli affronta per la prima volta il terreno della storia del nostro Paese, dopo aver pubblicato “Le quaglie di Osama” (2006), “Shahid” (2010), “Il volto nascosto di Osama” (2011), “Ferita Afgana” (2013) e l’ebook “Cuccioli del jihad”. Fotoreporter negli anni caldi del terrorismo italiano (è sua la foto “storica” del ritrovamento in Via Caetani a Roma del cadavere di Aldo Moro, il Presidente della Democrazia Cristiana sequestrato e ucciso dalle Brigate Rosse nel 1978), Piccirilli è stato poi caposervizio del quotidiano “Il Tempo” dove si è occupato di esteri, terrorismo e criminalità nazionale e internazionale. Per la sua attività di fotoreporter ha ottenuto numerosi riconoscimenti internazionali, fra i quali il “World Press Photo Award” nel 1979 e due “Baia Awards” per il turismo e reportages in zone di guerra.

Vittorio Esposito


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