Unabomber, Zornitta “Voglio solo verità, non la vendetta”
“Ora posso finalmente dire che questo ossessivo termine di Unabomber ha smesso di essere la mia ombra”. Elvo Zornitta, 72 anni, ex ingegnere aeronautico, vive da anni nel silenzio della sua casa di Azzano Decimo. Ma la notizia arrivata dalla nuova perizia disposta dalla Procura di Trieste ha riaperto ferite mai rimarginate. Lo stesso Dna maschile è stato individuato su due ordigni diversi tra quelli, ben 34, della lunga scia di attentati che dal 1994 al 2007 terrorizzarono il Nord-Est. Tuttavia, spiegano i periti, non esiste un “filo rosso” che consenta di collegare quei reperti a una persona identificabile. Tutti gli indagati escono di scena. Il profilo genetico non è comparabile con la Banca Dati nazionale del Dna e la pista rimane senza volto. “Mi hanno distrutto, ma io credo ancora nella giustizia”, afferma l’’ing. Zornitta, che per anni è stato l’unico indagato e poi prosciolto nel 2009 dopo un calvario giudiziario durato quasi dieci anni.
Oggi parla con una voce ferma ma amara
Il volto scavato, i capelli rimasti sono bianchi. La determinazione è la stessa di vent’anni fa. “Mi hanno distrutto la vita, la carriera, la reputazione – osserva -. Ma io credo ancora nella giustizia, non nella vendetta. Se la scienza oggi dice che quel Dna non porta a nessuno, significa che per troppo tempo si è voluto costruire un colpevole invece di cercare la verità”. Fu accusato di essere Unabomber dopo che un frammento di lamierino, secondo la perizia dell’epoca, era stato “ritagliato con la stessa forbice” usata in casa sua. Ma nel 2009 la Cassazione stabilì che il reperto era stato manomesso, probabilmente nel corso delle analisi. “Mi hanno messo in croce per un pezzo di metallo”, ricorda. “E mentre io venivo linciato, chi aveva piazzato quegli ordigni continuava a ridere di noi”.
Le nuove analisi
La nuova perizia, commissionata dalla Procura di Trieste dopo l’istanza dell’avvocata Serena Gasperini, legale di una delle vittime, ha esaminato decine di microtracce biologiche conservate dagli investigatori tra Pordenone, Treviso e Portogruaro. Il risultato indica che su due congegni esplosivi distinti è stato rilevato lo stesso profilo genetico maschile, ma non sufficientemente completo per identificare un individuo. “Si tratta di frammenti di Dna molto degradati – scrive la commissione – che non consentono una comparazione utile con i profili archiviati nella Banca Dati nazionale”.
Un punto tecnico ma decisivo su Unabomber
Dopo vent’anni, l’esposizione ambientale e il degrado del materiale hanno reso quasi impossibile qualsiasi identificazione certa. Tuttavia, la coincidenza fra due ordigni, una bomboletta di stelle filanti esplosa a San Vito al Tagliamento e un tubo ritrovato in un vigneto a San Stino di Livenza, riaccende l’interrogativo: dietro Unabomber c’era un’unica mano o più persone? L’avvocata Gasperini spiega che “le vittime hanno diritto di capire”. “Lo voglio anch’io”, dice Serena Gasperini, che tutela Francesca Girardi, una delle donne ferite da un ordigno nascosto in un uovo di Pasqua nel 2001. “Non si può lasciare che una vicenda di tale portata resti sospesa nel nulla. Le vittime chiedono chiarezza, anche solo per sapere se quell’incubo avrà mai una spiegazione”. Secondo Gasperini, la perizia “non chiude ma anzi impone un nuovo dovere morale: riaprire, se possibile, le indagini su basi scientifiche solide”.
Il paradosso
Tra il 1994 e il 2007 furono 34 attentati, con ordigni micidiali nascosti nei luoghi più innocui: candele, ovetti Kinder, tubetti di conserva, confezioni di shampoo. Tre persone furono gravemente ferite, decine rimaste scioccate. Dopo anni di indagini, piste abbandonate e false partenze, l’inchiesta si concentrò su Zornitta, ingegnere appassionato di modellismo. “Mi hanno spiato, intercettato, umiliato davanti ai miei studenti e ai miei figli – racconta – Quando nel 2009 mi hanno assolto, nessuno è venuto a chiedermi scusa. Ora leggo che il Dna non appartiene a nessuno, e mi chiedo: perché ci è voluto tutto questo tempo per capire che non ero io?”.
Oggi chiede soltanto un risarcimento per i danni morali e materiali
La sua richiesta è pendente davanti al Tribunale civile di Venezia. “Non voglio arricchirmi, voglio solo che qualcuno dica pubblicamente che è stato commesso un errore. Non da me, ma su di me.” A 18 anni dall’ultima esplosione, la storia di Unabomber rimane uno dei misteri più cupi della cronaca. L’uomo o il gruppo che seminò terrore tra Veneto e Friuli non è mai stato identificato. Nel frattempo, la generazione dei primi investigatori è andata in pensione. Molti dei reperti sono conservati nei laboratori di polizia scientifica a Roma, in attesa di nuove tecnologie che forse un giorno potranno dare un nome a quelle tracce.
L’ingegnere Zornitta osserva da lontano:
“Non cerco più il colpevole. Cerco la verità, che non è la stessa cosa. La verità non punisce, ma libera”. Poi aggiunge, con un sorriso amaro: “Ho pagato il prezzo della fiducia nelle istituzioni. Ma se oggi si torna a parlare di me per dire che non c’era nessun filo rosso, allora, forse, la giustizia ha ancora un senso”.
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