Attualità

Unanimità o irrilevanza? L’UE alla prova della sua efficacia globale

di Marco Montini -


Superare il principio dell’unanimità per rafforzare il ruolo dell’Unione Europea sulla scena internazionale: è questa la sfida fondamentale che, secondo molti, Bruxelles non può più permettersi di rimandare. In un contesto globale sempre più instabile e competitivo, dominato da potenze come Stati Uniti, Cina e Russia, l’UE rischia di rimanere un vaso di cristallo in mezzo ai colossi se continuerà a vincolarsi troppo a una regola decisionale che, nei fatti, ne paralizzerebbe spesso l’azione. Sia chiaro: siamo di fronte a un sistema logicamente e storicamente pensato per garantire la sovranità nazionale, ma che oggi – così come strutturato – rischia di dimostrarsi sempre più anacronistico e di tradursi spesso in impasse istituzionali, mediazioni infinite e compromessi al ribasso. E i tempi della geopolitica non sono quelli della burocrazia: mentre il mondo corre, l’Europa si arena su veti incrociati e lentezze procedurali. Serve dunque un cambio di passo deciso, un salto di qualità politico e istituzionale che consenta all’Unione di agire con maggiore rapidità, coerenza e autorevolezza, riaffermando il proprio ruolo nei grandi equilibri globali e nel governo dei processi strategici che plasmano il futuro del continente e del pianeta. Ma come funziona il principio di unanimità? Attualmente, il Consiglio europeo deve applicarla su una serie di questioni considerate sensibili dagli Stati membri. Ad esempio: politica estera e di sicurezza comune (esclusi alcuni casi ben definiti che richiedono la maggioranza qualificata, quali ad esempio la nomina di un rappresentante speciale); cittadinanza (concessione di nuovi diritti ai cittadini UE) e adesione all’UE; armonizzazione della legislazione nazionale in materia di imposte indirette; finanze UE (risorse proprie, quadro finanziario pluriennale); alcune disposizioni in materia di giustizia e affari interni; e armonizzazione della legislazione nazionale in materia di sicurezza sociale e protezione sociale. Inoltre, il Consiglio è tenuto a votare all’unanimità per discostarsi dalla proposta della Commissione quando quest’ultima non è in grado di accettare le modifiche apportate alla sua proposta. Tale norma non si applica agli atti che il Consiglio deve adottare su raccomandazione della Commissione, ad esempio nel settore del coordinamento delle politiche economiche. In caso di voto all’unanimità, un’astensione non impedisce l’adozione di una decisione. Insomma, allo stato attuale, sono numerosi e importanti i settori in cui è richiesta l’unanimità decisionale. Per questo da più parti si chiede una revisione del sistema. Quali le ipotesi? Ad esempio, ridurre il numero di comparti strategici per i quali l’unanimità è necessaria per l’adozione di una legislazione, aumentando al contempo il numero di quelli in cui si applica il voto a maggioranza qualificata in seno al Consiglio. Oppure una maggiore applicazione delle cosiddette “clausole passerella”, che consentono eccezioni alle procedure legislative dapprima previste dai trattati. Ma al di là delle soluzioni specifiche, la riforma della procedura, soprattutto in politica estera, è un tema che non può più restare fuori dall’agenda politica europea, a maggior ragione in questo momento storico in cui, con eventuali allargamenti a nuovi stati sembri, crescerebbe anche il rischio di potenziali veti col conseguente rallentamento del meccanismo decisionale. “E’ ormai evidente che serve un’Europa diversa: più snella, più rapida, capace di affrontare le sfide globali e di dialogare alla pari con i grandi player istituzionali internazionali. Il superamento del principio di unanimità – denuncia Andrea Tiso, presidente nazionale Confeuro – è il primo, indispensabile passo per costruire un’Unione finalmente più efficace e credibile”.


Torna alle notizie in home