Esteri

Usa: Biden con l’Italia, con l’Europa. E contro i populismi riscopre l’unità nazionale

di Redazione -


L’esito della recente consultazione elettorale negli Usa come sempre ha un impatto sulle relazioni internazionali a livello globale, regionale e, naturalmente, sulle relazioni con i singoli Stati. Quali i possibili scenari per lo sviluppo delle relazioni transatlantiche in generale e quelle italo/statunitensi in particolare nei prossimi quattro anni? Siamo realmente dinanzi ad una rivoluzione copernicana nella governance mondiale? Riportiamo gli interventi e degli spunti emersi nel corso del webinar sul risultato delle elezioni americane promosso dall’Osservatorio sui Temi Internazionali dell’Eurispes. All’incontro hanno preso parte: Vincenzo Amendola, Ministro per le Politiche Europee – Maurizio Molinari, Direttore la Repubblica – Giovanna Pancheri, corrispondente dagli USA SkyTG24 – Armando Varricchio, Ambasciatore d’Italia a Washington. Il Presidente dell’Osservatorio, l’Ambasciatore Giampiero Massolo, ha moderato l’incontro. Egli afferma: «Questo è il nostro primo webinar come neonato Osservatorio per i Temi Internazionali dell’Eurispes. L’Osservatorio nasce dall’idea avuta con il Presidente Gian Maria Fara di aprire l’Istituto a realtà esterne e capire come il mondo condizioni, come possa riguardare il nostro Paese e come contribuisca a definirne l’interesse nazionale. Da sempre l’Eurispes si occupa di curare e di promuovere la conoscenza dell’interesse italiano e sicuramente questa dimensione internazionale potrà essere molto qualificante e molto utile per l’Istituto. Il tema di oggi è stato dibattuto da quasi ogni punto di vista; tuttavia, l’autorevolezza e la qualità dei nostri intervenienti sono garanzia di una visione originale che potrà essere apprezzata dalla nostra audience. Nonostante tutti diano ormai i risultati delle elezioni americane per acquisiti, questo è ancora un momento in cui qualcosa c’è da dire dal punto di vista procedurale. Quindi la prima domanda è: a che punto siamo?».

Armando Varricchio: «Quanto sta avvenendo negli Stati Uniti ha degli effetti diretti sul dibattito, non soltanto politico, ma anche sulle decisioni che potranno essere assunte nel nostro Paese. Le elezioni si sono tenute martedì scorso, ma il risultato non è ancora formalmente acquisito. Siamo in una fase di transizione, in attesa che il risultato sia certificato e ufficializzato. Entro l’8 dicembre, infatti, la lista dei Grandi Elettori dovrà essere certificata in tutti i 50 Stati americani e il 14 dicembre i Grandi Elettori si riuniranno per votare ed eleggere il Presidente degli Stati Uniti».

Giampiero Massolo: «Normalmente, queste scadenze che l’Ambasciatore descriveva sono quasi burocratiche. Non sono tali da inficiare il risultato. Però il solo fatto che se ne parli indica che qualcosa negli Stati Uniti è successo in queste elezioni. Volevo chiedere al Direttore Molinari una valutazione. Cosa non ha funzionato questa volta, cosa sta succedendo?».

Maurizio Molinari: «Ci sono due anomalie all’interno della procedura americana. La prima è che il campo che contesta il risultato – vale a dire quello del Presidente Trump – ancora non ha esposto la sua tesi al popolo americano. In questa occasione c’è un campo che è andato in pubblico e ha reclamato la vittoria sulla base della conta dei voti fatta pubblicamente dai grandi network (Biden) e c’è un altro campo che contesta la vittoria, ma che non lo ha fatto pubblicamente (Trump). Sappiamo che ci sono delle cause legali, una richiesta di riconteggio, ma sono notizie che fuoriescono dal team di Trump in maniera disordinata. Quello che manca è un portavoce che dica al popolo quali sono i motivi della contestazione. Questa è una prima anomalia che inevitabilmente genera una situazione di incertezza. La seconda anomalia, sta nel fatto che se si parla con gli opposti team, questi disegnano degli scenari con grande aggressività: il campo di Biden è sicuro della vittoria acquisita, lavora alla transizione e sostanzialmente ritiene che Trump stia imbastendo un negoziato per salvarsi da tutta una serie di cause legali e che il Partito Repubblicano lo stia sostenendo esclusivamente per vincere le elezioni in Georgia, da cui dipende l’esito del controllo del Senato; il team di Trump, molto più ermetico, è convinto da una parte che il risultato sia stato un colpo di mano ben organizzato dai democratici attraverso il voto postale, dall’altra è uno scenario che verte attorno all’ipotesi di che cosa potrebbe succedere se il 14 dicembre i Grandi Elettori non trovino una maggioranza. La questione procedurale è ancora aperta e, per fare chiarezza su che cosa può ancora avvenire, il pezzo più importante che manca è rendere pubblico l’approccio dell’amministrazione Trump all’attuale situazione».

Giampiero Massolo: «È la foto di una situazione sicuramente ancora fluida, allora mi viene da pensare, ma questi leaders europei che hanno immediatamente chiamato il Presidente eletto, cos’è auspicio, sollievo? Come la dobbiamo leggere?».

Vincenzo Amendola: «Evidentemente la sincronia di tutti i leaders europei nasconde una ragione vera e una ragione di lettura politica complessiva. Quella vera è relativa alla reazione alla crisi economica: l’elezione del Presidente americano, con la relativa tempistica, fa sì che le manovre di stimolo economico, le manovre che devono arrivare da Washington, visto che abbiamo un’economia interconnessa, siano rilevanti anche per noi. La tempistica dell’entrata in carica del nuovo Presidente, il come affrontare insieme il Covid e il come affrontare insieme da Occidente la sfida della ripresa economica è fondamentale. L’Europa ha bisogno di allineare subito le politiche contro il coronavirus anche per la ripresa economica, di sedersi attorno ad un tavolo per recuperare un legame che si è sfilacciato. Il livello di tenuta multilaterale sotto lo stress del Covid ha dimostrato che ci sono degli sbilanciamenti e delle mancanze lampanti (Oms, per esempio). L’aspettativa europea ha, primo, un’esigenza a breve termine, e secondo è un tentativo necessario per le leadership europee di ricostruire un consesso multilaterale che si è allentato».

Giampiero Massolo: «Il mondo, dalla politica estera di Biden, cosa si deve aspettare? Quanto questa politica potrà essere indipendente e non invece condizionata da quegli stessi eventi che avevano portato alla definizione della linea politica della precedente Amministrazione? E per l’Italia, in particolare, cosa vuol dire la presidenza Biden?». Armando Varricchio:«La priorità dell’amministrazione Biden sarà sicuramente quella di ricostruire il paese, quindi il lavoro del nuovo Presidente si concentrerà principalmente su quello che è un versante domestico, su come ricomporre la frattura razziale in primis. Concentrarsi sulla politica interna del paese gli darà la possibilità di guardare all’esterno in maniera diversa. L’America è cambiata nel corso delle varie presidenze, così come è cambiato il mondo, e questo impone delle sfide più forti alla nostra Europa che deve assumere maggiori responsabilità. L’Italia ha una duplice responsabilità: una, ha a che fare con il suo ruolo forte di alleato che ha contribuito al successo dell’America; l’altra, è legata al ruolo che l’Italia ha nell’Europa, un ruolo forte, da paese fondatore, e deve servire per portare l’Unione europea ad avere un rapporto maturo con gli Stati Uniti».

Giovanna Pancheri: «Il clima che si respira in America è quello di un certo nervosismo, causato dal prolungamento della fase di transizione. Inizia ad esserci preoccupazione per quelle che possono essere le conseguenze per la sicurezza nazionale. Si sta ancora cercando di capire quale possa essere il percorso di passaggio da un Presidente all’altro. C’è un clima misto: tra la gente c’è molto entusiasmo, mentre nell’Amministrazione comincia ad esserci una certa preoccupazione. Un peso molto importante, anche in questo percorso accidentato della transizione, è che il presidente eletto ha avuto subito il riconoscimento di tutta l’Europa e degli alleati».

Giampiero Massolo: «Che Stati Uniti eredita Biden? Soprattutto, cosa potrà fare – perché manifestamente mi sembra uno Stato di disunione – per cercare di rammendare?».

Maurizio Molinari: «Ogni volta che l’America si ricostruisce crea un’incredibile carica di energia (umana, intellettuale, politica). Con Biden ci sarà un’ulteriore ricostruzione. L’America di Biden porterà una quantità di idee ed energie in grado di rafforzare, consolidare e rilanciare anche l’Occidente. Sul fronte interno sul tema della risposta al populismo (“qual è la ricetta per battere i populisti?”), la ricetta di Biden è creare un’alleanza bipartisan sui valori nazionali. Egli unisce, perché sa parlare alle opposte anime del paese. Il populismo è un movimento di protesta e la risposta di Biden è l’unione. Questo approccio è molto simile a quello che il segretario del partito laburista, Starmer, sta cavalcando in Gran Bretagna. Il partito laburista britannico e il partito democratico americano, attraverso cammini nazionali, arrivano ad una stessa ricetta bipartisan che punta al centro dell’elettorato e a riunire tutti quelli che populisti non sono. Questa è una ricetta che anche in Europa può fare molta strada, e questo spiega anche l’importanza che molti leader europei stanno dando alla vittoria di Biden. Un altro aspetto fondamentale è la risposta alla pandemia. I suoi primi messaggi sono stati molto chiari: “Dobbiamo guarire l’America”, crea una task force, fa capire che la ripresa economica passerà attraverso la sconfitta della pandemia. Per ricostruire bisogna sanare una ferita che è quella della sanità. Anche questa può essere una ricetta destinata a trovare grandi ascolti in Europa. Le posizioni di competizione strategica che l’amministrazione Trump ha avuto con la Cina avranno un seguito nell’amministrazione Biden. E forse non è un caso che i cinesi abbiano reagito alla sua elezione non facendogli i complimenti ma con una stretta immediata su Hong Kong». Giampiero Massolo: «Cosa significa Biden per le famiglie politiche europee? Perché indubbiamente il rapporto con il sovranismo, con il populismo sarà un rapporto definitorio nel prossimo futuro e non è indifferente chi siede alla Casa Bianca».

Vincenzo Amendola: «Il partito democratico è cambiato, ha delle anime, delle configurazioni molto differenti. Biden è riuscito, sull’unità dei valori, a costruire un’alternativa. Accanto all’unità dei valori contro la polarizzazione delle posizioni che si sono radicate negli ultimi dieci anni, ci sarà anche da fare un grande lavoro sulle diseguaglianze. La tenuta di Trump nel cuore degli Stati Uniti, quell’idea dei soggetti perdenti che decidevano di tornare padroni a casa loro, non può essere considerata come una febbre passeggera. Servirebbe un congresso dell’Occidente, uscire da quella depressione dell’Occidente sconfitto e capire che dentro questa società globale la nostra alleanza ha una forza non solo per la capacità normativa di costruire un nuovo multilateralismo che non sia basato sulla logica del più forte, ma anche costruire nelle nostre economie degli elementi di lotta alla diseguaglianza. Sono d’accordo che parte del successo è occupare il centro del dibattito politico recuperando l’elemento di unità della nazione. Servirà guardare all’America, come noi guardiamo all’Europa, anche nelle sue fragilità. E la fragilità che vedo è quella di diseguaglianze che hanno polarizzato e fratturato molto le nostre società. L’Europa deve trovare subito un alleato solido per costruire, a livello globale, equilibri che sono saltati da tempo».

Redazione Eurispes


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