Economia

Siglato il “cessate-il-dazio”, verso la pace Usa-Cina

di Giovanni Vasso -


È mattina, in Italia, quando la notizia rimbalza dalla Svizzera al resto del mondo: Usa e Cina hanno fatto pace sui dazi. O, almeno, hanno stabilito una tregua nella guerra commerciale che vede protagoniste le due superpotenze globali. I termini del cessate-il-dazio prevedono una sospensione di novanta giorni per l’applicazione delle tariffe, l’idea di abbassarsi, vicendevolmente, i balzelli alla dogana fino al 115% e, infine, l’impegno reciproco a costituire una piattaforma per proseguire il dialogo, con tanti saluti (ma non ditelo a nessuno) al Wto, a cui Trump l’aveva già giurata ai tempi del suo primo mandato. Le cancellerie si scambiano complimenti. Il governo cinese ha brindato ai “considerevoli progressi” registratisi a Ginevra e ha sottolineato di ritenere la continuazione del dialogo centrale “nell’interesse dei due Paesi e nell’interesse comune a livello globale”. L’auspicio cinese resta lo stesso, quello di una collaborazione finalizzata a “correggere le pratiche sbagliate degli aumenti tariffari unilaterali”. La Casa Bianca ha espresso soddisfazione riconoscendo al presidente Trump “l’impareggiabile competenza nel garantire accordi vantaggiosi per il popolo americano”. Quella che è stata interpretata, a Washington, come “una vittoria per gli Usa” non cancella “le pratiche commerciali sleali e l’enorme deficit commerciale degli Stati Uniti con la Cina hanno alimentato la delocalizzazione dei posti di lavoro americani e il declino del nostro settore manifatturiero”. Il rappresentante Usa al commercio Jamieson Greer ha fatto i conti sullo stato dell’arte doganale: quelli americani resteranno, per ora, al 30% mentre Pechino ha deciso di farli scendere di un ulteriore dieci per cento. Questa è la base della trattativa. Da cui potranno discendere due esiti: uno globale e uno totale. Il primo, con il riassetto della globalizzazione come la conoscevamo, il secondo con l’istituzione di un nuovo ordine economico globale. In America, come riporta nel week-end il Financial Times, se ne sono accorti anche i college che, archiviate le speculazioni woke, hanno deciso di dedicare più spazio ai corsi di “geo-economics”, ossia di lettura del presente per il tramite dei rapporti commerciali tra i Paesi. Ne avranno di lavoro, professori e studenti: Scott Bessent, Segretario al Commercio, ha spiazzato tutti, di nuovo: “Nessuno vuole il decoupling”. Quello, per intendersi, che ha ricercato la Ue quando ha imposto i suoi dazi alla Cina con il risultato di mandare a ramengo l’automotive tedesco. La giornata di ieri, però, è stata lunga. Lunghissima.

È pomeriggio, in Italia, quando Donald Trump annuncia che “i prezzi dei farmaci saranno tagliati di oltre il 59%” e che “tutti gli altri costi” come “benzina, energia, alimentari” sono crollati: “nessuna inflazione”. Il presidente sa, fin troppo bene, che il mercato farmaceutico (e più in generale quello della sanità) sono un paradosso americano. I prezzi dei medicinali alti hanno colpito a fondo la fiducia del Paese nella classe dirigente. Il caso Mangione ha rappresentato l’esito esasperato di una vicenda sociale che fa male. E mentre Trump già passava oltre, in Europa si iniziava a ragionare dell’accordo sui dazi tra Usa e Cina. Il presidente dell’Eurogruppo Pascal Donohoe ha detto che “qualunque accordo contribuisca ad allentare la tensione è certamente benvenuto”. La Germania non si fida: “Vogliamo dialogare con gli americani, vogliamo trovare soluzioni comuni, ma siamo anche preparati, se non dovesse essere possibile trovare una strada nelle prossime settimane”, ha detto herr Lars Klingbeil, neo ministro socialdemocratico alle Finanze del governo retto dal Cdu Merz, non senza difficoltà. La Spagna è più ottimista e il ministro all’Industria Jordi Hereu, pur mettendo le mani avanti, ha spifferato che esisterebbero, dopo gli accordi siglati dagli Usa col Regno Unito prima e con la Cina poi, “molte condizioni oggettive per raggiungere un buon accordo commerciale”. Ursula, per ora, tace. Domani, proprio mentre la tregua sui dazi entrerà in vigore, si parlerà del Pfizergate alla Corte di Giustizia Ue. Ha (ben) altro a cui pensare. Confindustria, in Italia, continua a coltivare il sogno di una “de-escalation duratura” e Barbara Cimmino, vicepresidente di viale dell’Astronomia con delega a export e attrazione investimenti, agli Stati Generali dell’Industria ha detto che “la Ue deve mettere a frutto i novanta giorni di sospensione per raggiungere questo obiettivo”. Ma la giornata, di ieri, è stata lunga, lunghissima. È sera, in Italia, quando le Borse chiudono, poco dopo il proclama di Trump: “L’accordo sarà fantastico per noi e per la Cina”. In Asia, per via del fuso, l’avevano già capito. Il segno più vince, convince e trionfa praticamente ovunque. I mercati, ormai, hanno capito che l’agenda non la dettano più epperò ci tengono a inviare segnali al mondo. A Wall Street salgono tutti: in apertura Dow Jones sale del 2,6%, il Nasdaq gioisce col 4%. Aumentano i futures, in calo solo quelli dell’oro: 3.224 dollari l’oncia. La fiducia sta tornando. Così come si sta rivalutando il petrolio: ora passa di mano a 66 dollari al barile: drill, baby, drill. Stellantis, a Milano (che ha chiuso in rialzo dell’1,4%), ritrova lo smalto perduto: +7%.  Bene pure Parigi (+1,37%) e Amsterdam (+1,8%). A Madrid l’Ibex 35 sale dello 0,86%, il Dax di Francoforte non va oltre lo 0,32% mentre il Ftse di Londra guadagna lo 0,61%.


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