Esteri

Usa, due anni fa a Capitol Hill l’attacco più grave alla democrazia

di Martina Melli -


Esattamente due anni fa, migliaia di rivoltosi trumpiani assaltavano Capitol Hill, a Washington, per cercare di fermare la certificazione dei voti che dichiaravano Biden vincitore delle elezioni del 2020.
Un anno dopo, il Presidente in carica, ne celebrava il primo “anniversario”, pronunciando parole di forte condanna nei confronti di Trump (per l’incapacità di accettare la sconfitta) e ovviamente dei suoi sostenitori, per il gravissimo gesto che ha provocato cinque morti e diversi feriti.
Oggi, nel secondo anno di fila, in ricordo di quel sei gennaio così infausto per la democrazia americana, Biden ospiterà una cerimonia di commemorazione nella East Room della Casa Bianca.
Dall’attacco al Campidoglio, di acqua, vaccini, polemiche e tweet al vetriolo ne sono passati tanti. Se a gennaio 2021 l’elettorato repubblicano era scioccato per la disfatta del tycoon ma restava a lui semper fidelis, oggi la situazione è completamente diversa.
Alle Midterm i rossi hanno fatto una mezza figuraccia, tra seggi persi e Trumpone che promette tempesta per poi toccare con mano il proprio basso gradimento e l’assai alta improbabilità di vincere le presidenziali nel 2024.
In campagna elettorale di medio termine, prima ha supportato DeSantis, poi ha fatto retromarcia, iniziando a spingere McCarthy. Non pago, primo nella storia americana, è stato deferito al ministero della giustizia per 4 reati gravissimi: aver assistito e aiutato un’insurrezione, aver ostruito il Congresso nella certificazione della vittoria di Biden, aver cospirato per rendere false dichiarazioni al governo federale e, dulcis in fundo, per frode gli Stati Uniti.
Infine, appena prima di Natale, è stato costretto dalla commissione di sorveglianza della Camera dei Rappresentanti a pubblicare la dichiarazione dei redditi 2015-2020. Il risultato? Conti all’estero anche durante la presidenza (nel Regno Unito, in Irlanda, a Saint Martin e perfino in Cina). Ha versato solo 750 dollari nel 2016 e nel 2017 e niente nel 2020. Secondo lui, questi dati dimostrano solo che “Ha avuto successo ed è stato in grado di utilizzare l’ammortamento e varie altre detrazioni fiscali come incentivo per creare migliaia di posti di lavoro, magnifiche strutture e imprese”.
Nonostante le sue dichiarazioni, che da anni lo rendono leader assoluto nella negazione e nell’alterazione della realtà, grazie a questi dati fiscali, il procuratore generale avrà qualcosa da mostrare in tribunale per impedirgli di candidarsi nuovamente alla presidenza.
Trump a parte, cosa resta oggi dell’attacco a Capitol Hill?
A livello storico e divulgativo, molto poco. In un recente articolo, infatti, il Washington Post ha evidenziato come nelle visite guidate ufficiali del Campidoglio, l’evento non venga minimamente menzionato. L’attacco non è nominato nella sala espositiva recentemente rinnovata del Capitol Visitor Center, che fornisce una solida storia dell’edificio. Non è discusso nel film introduttivo di sette minuti che i visitatori guardano prima dell’inizio del tour. A meno che non vengano rivolte domande esplicite a riguardo, nessun accompagnatore fa riferimento al 6 gennaio del 2021.
A livello giudiziario? Dopo due anni le indagini non sono ancora concluse: si è dimostrato che l’attacco è stato preparato per mesi e che Trump vi ha svolto un ruolo chiave(incitamento all’insurrezione e cospirazione). Recentemente, l’Fbi ha aumentato drasticamente la ricompensa per le informazioni su un sospetto che ha piazzato bombe a tubo nella sede del comitato nazionale repubblicano e democratico, alla vigilia della rivolta. Un incidente a oggi rimasto irrisolto.
A livello culturale? Un solco profondo. L’idea, ormai diffusa, che si possa disconoscere, rifiutare e combattere la legittimità del sistema elettorale degli Stati Uniti, nonché la vittoria (schiacciante) dei propri avversari politici.


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