Vajont, dopo 62 anni dalla tragedia le ferite sono ancora vive
Il 9 ottobre del 1963 alle ore 22:39 una frana si staccò dal monte Toc e precipitò nell’invaso della diga causando la morte di 1917 persone.
Vajont è un nome che ancora oggi evoca dolore, ammonimento, tragedia. La diga del Vajont rappresenta uno dei più drammatici disastri della storia italiana. Un evento che non fu frutto del destino, ma di errori umani e scelte irresponsabili.
Una grande opera nata con ambizioni gigantesche
La diga del Vajont venne costruita tra il 1957 e il 1960 al confine tra Friuli-Venezia Giulia e Veneto, sopra la valle del Piave. Doveva alimentare un importante bacino idroelettrico. Con i suoi 261,6 metri di altezza era tra le dighe più imponenti al mondo. Un vanto dell’ingegneria italiana.
Un progetto nato tra omissioni e sottovalutazioni
Il territorio scelto per il bacino era instabile. Le relazioni geologiche lo indicavano chiaramente. L’area era soggetta a frane da tempi antichi. Il monte Toc, proprio sopra il bacino, mostrava evidenti segnali di movimento. Nonostante ciò, gli allarmi furono ignorati. Prevalsero fretta e interessi economici.
La notte della catastrofe
Il 9 ottobre 1963 una frana gigantesca, circa 270 milioni di metri cubi di roccia, si staccò dal monte Toc. La massa precipitò nel lago artificiale. L’acqua venne scagliata fuori dalla diga come in un’esplosione. L’onda superò i 200 metri d’altezza. Longarone, e altri paesi della valle, furono spazzati via in pochi secondi. Morirono 1917 persone di cui 487 erano bambini.
La diga resistette, ma l’uomo sbagliò
La diga del Vajont non cedette. Rimase in piedi. Il disastro fu causato da valutazioni sbagliate e scelte imprudenti durante il riempimento del bacino. Non si tenne conto dei segnali di instabilità della montagna. Gli avvisi dei tecnici furono messi a tacere.
Una ferita ancora viva
Vajont è diventato un simbolo. Simbolo del prezzo pagato quando si ignora la scienza. Simbolo dei rischi delle grandi opere quando sicurezza e ambiente vengono trascurati. Resta un monito per il presente e per il futuro.
Custodire la memoria
I 5205 documenti relativi alla tragedia del Vajont sono conservati a Belluno, nell’Archivio di Stato. Per non dimenticare. Per ricordare ogni responsabilità.
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