Attualità

Veleno killer

di Ivano Tolettini -


L’affaire del tubone Arica della discordia finisce sul tavolo del procuratore della Repubblica di Verona. È il grande collettore che raccoglie i reflui di cinque depuratori (Arzignano, Lonigo, Montebello, Montecchio Maggiorfe e Trissino) del distretto della concia vicentina, ma è anche pieno di Pfas, le sostanze perfluoro alchiliche che sono nella faldae che tengono sotto scacco da un decennio quasi 800 mila persone distribuite nelle province di Verona, Vicenza e Padova. È la novella Terra dei Fuochi nel profondo Nord, che vede migliaia di cittadini molto preoccupati – sono guidati dalle Mamme No Pfas – e che hanno il comprensibile obiettivo di limitare questo disastro ambientale che tiene in ambasce anche le istituzioni, a partire dalla Regione Veneto. L’ultimo capitolo di un libro che sarà concluso quando sarà messo in sicurezza e bonificato il sito della Miteni a Trissino, lo scrive la consigliera regionale Cristina Guarda di Lonigo (Vicenza), imprenditrice agricola, che con la denuncia chiede l’intervento della magistratura per porre un freno all’avvelenamento delle acque con ripercussioni negative sull’agricoltura e la salute pubblica. Il procuratore aggiunto di Verona, Bruno Francesco Bruni, la sta valutando per predisporre eventuali accertamenti.
La giovane rappresentante dei verdi europei da anni è in prima fila nella battaglia a fianco delle Mamme No Pfas. Ma anche le amministrazioni comunali, come quella di Trissino con il sindaco leghista Davide Faccio e quella di Lonigo con il civico Pierluigi Giacomello, sono in prima linea assieme all’Arpav. Proprio di recente Faccio, davanti a un’affollata assemblea pubblica, ha manifestato l’obiettiva difficoltà per un piccolo Comune come il suo di gestire un fenomeno enorme come quello dei Pfas e della Miteni, l’azienda inquinante che sorge nel territorio del municipio, e che ha scatenato una torcida di ben 137 ricorsi contro l’amministrazione. “Finora abbiamo speso 200 mila euro di spese legali”, spiega il primo cittadino sconsolato. In una delle ultime conferenze di Servizi sulla Miteni erano presenti ben trentadue persone, tra cui otto avvocati.
Il caso Pfas non ha tanto una rilevanza politica, che è implicita vista la sua gravità, ma coinvolge direttamente “i nostri figli”, come spiegano le rappresentanti del movimento No Pfas. Bastano le conclusioni dell’endocrinologo Carlo Foresta, già ordinario dell’Università di Padova, per comprendere la drammaticità del fenomeno. “I pfas bloccano l’attività del testosterone del 50% fin dalla fase embrionale – sottolinea – perché sono in grado di passare la placenta e i neonati è come avessero meno testosterone, questo ha conseguenze anche sullo sviluppo dei testicoli”. I Pfas, dunque, sono anche una bomba ad orologeria sulla fertilità maschile per decine di migliaia di veneti. Si comprende perché i genitori sono sulle barricate. Venerdì scorso, in Corte d’Assise a Vicenza, è proseguito il processo contro gli ex vertici della Miteni (manager giapponesi del colosso Mitsubishi corporation, Miteni Icig e di Miteni fallita nel 2018) accusati di disastro ambientale, avvelenamento delle acque e reati fallimentari. I dipendenti (tecnici e operai) ai giudici hanno riferito che «nel 2005, ad Anversa, i vertici di Miteni parteciparono a un convegno sui Pfas e i potenziali impatti su ambiente e salute». Le difese hanno sempre negato che i loro assistiti sapessero della pericolosità fino al 2013. Intanto, a tenere banco è l’affaire del tubone Arica. La parola torna alla magistratura.


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