Veneto, fumata nera. La scelta complessa tra Stefani e Fdi
Ancora una fumata nera. «Non c’è fretta», ha detto Francesco Lollobrigida da Soverato, ricordando che la legge impone di presentare i candidati solo con il deposito delle liste. Una frase che, letta in controluce, rivela il vero nodo politico: la scelta in Veneto è più complessa di quanto sembri. Perché il centrodestra, a meno di due mesi dal voto del 23 e 24 novembre, non ha ancora il candidato per la Regione simbolo della Lega, ma oggi terreno di contesa con Fratelli d’Italia.
Il Veneto rimane il nodo principale
Qui la Lega difende una roccaforte simbolica, guidata da oltre vent’anni, ma FdI rivendica il diritto di esprimere il successore di Zaia. La candidatura di Alberto Stefani, sostenuta da Salvini, insieme alla presenza di Zaia capolista in tutte le province, rischia di rimettere in moto la macchina elettorale leghista, con la possibilità di riportare il partito sopra la soglia del 20%. Un risultato che ridarebbe ossigeno a via Bellerio e frenerebbe l’avanzata meloniana proprio nel cuore del Nord produttivo. È per questo che i dirigenti veneti di FdI premono su Roma: temono che, lasciando campo libero alla Lega, il travaso di voti registrato dal 2022 possa invertirsi, ribaltando gli equilibri nazionali.
Campania e Puglia
Anche in Campania e Puglia le carte non sono ancora scoperte. A Napoli circola da settimane il nome del prefetto Michele Di Bari come candidato civico, alternativo all’ipotesi di un “politico” di lungo corso come Edmondo Cirielli. In Puglia resta in campo Mauro D’Attis per Forza Italia, ma il pressing di Fratelli d’Italia punta a un volto della società civile, con Gigi Lobuono, ex presidente della Fiera del Levante, che rimane tra i favoriti. In entrambi i casi la logica è la stessa: non bruciare candidature forti in territori complessi, ma al tempo stesso non lasciare la regia alla Lega. Qui, tuttavia, lo scenario appare più chiuso: salvo sorprese, Campania e Puglia resteranno in orbita centrosinistra, confermando De Luca e probabilmente Emiliano o un suo erede politico.
In Calabria?
In Calabria, invece, il test è immediato. Roberto Occhiuto, governatore uscente di Forza Italia, corre per la riconferma. Rivendica riforme su consorzi di bonifica, rifiuti e turismo, e promette la grande svolta sulla sanità, commissariata da anni. Gli avversari faticano a impensierirlo: Pasquale Tridico, ex presidente Inps, non ha acceso entusiasmo con la proposta di un “reddito di dignità”, mentre Avs si è divisa tra il caso Lucano e candidature discutibili. È il motivo per cui Occhiuto guarda già oltre, annunciando un’agenda di governo che va dagli aeroporti al porto di Gioia Tauro. Il voto calabrese sarà un segnale anche per il Nord: se Occhiuto vincerà nettamente, FI potrà rivendicare più peso nella coalizione, mentre FdI rischierà di veder incrinata la sua immagine di forza egemone. Ma, al di là delle incognite meridionali, la vera battaglia resta il Veneto.
Non resta che il Veneto
Qui il centrodestra non rischia la vittoria: la Regione è saldamente in orbita della coalizione. Ma proprio per questo, la scelta del candidato diventa strategica. Se prevarrà Stefani, la Lega otterrà non solo la presidenza, ma anche la possibilità di risalire nei consensi grazie a Zaia, consolidando un radicamento che sembrava in crisi. Già circolano tra i leghisti anche i numeri della composizione della futura giunta presieduta da Stefani: 3 assessori alla Lega, 5 a Fratelli d’Italia e 1 a Forza Italia. Ma sarà così? Se invece Roma sceglierà un nome di FdI, come Luca De Carlo o Raffaele Speranzon, il partito di Meloni potrà consolidare l’avanzata già registrata alle Europee del 2024 (37% contro il 14% della Lega) e accreditarsi come nuova forza egemone del Nord-Est.
È questo il punto che spiega perché Lollobrigida invoca calma e Donzelli ribadisce il diritto di FdI a giocarsi la partita.
La scelta del Veneto
Non è più solo un dossier locale: è il test che definirà i rapporti di forza dentro la coalizione di governo. Una regione data per certa al centrodestra diventa così la più contesa, perché dal nome che uscirà dipenderà non la vittoria, ma chi condizionerà il centrodestra dei prossimi anni. E Giorgia Meloni ne è consapevole. È per questo che la pressione è altissima: il Veneto è quasi impossibile che sfugga alla coalizione che lo guida da oltre 30 anni, ma dal nome che uscirà da Roma dipenderà chi, tra FdI e Lega, avrà più voce in capitolo nella coalizione. Dunque, per certi versi è un test sulla capacità di Meloni e Salvini di ridisegnare i confini del centrodestra. Ed è la ragione per cui i leader veneti di FdI insistono: se a Roma non ascoltano, rischiano di trovarsi di fronte a un autunno che ribalta i rapporti di forza dentro la coalizione.
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