Cultura & Spettacolo

Vent’anni di Armani Privé: tutto cambia, ma lui no. Per fortuna e per l’anima

di Nicola Santini -


In mostra a Milano i venti anni di Armani Privé: la moda di Giorgio Armani tutta da vedere fino a dicembre

Non è un anniversario, non è una celebrazione, non è una mostra per dire “guardate quanto sono stato bravo”. È, semplicemente, Giorgio Armani che fa Giorgio Armani. E quando decide di farlo raccontando vent’anni di Alta Moda, lo fa nei suoi spazi, alle sue condizioni, con la sua estetica: asciutta, rigorosa, ostinata, ma capace – ancora – di far tacere tutti. Al Silos, in via Bergognone, fino a fine dicembre, l’inaugurazione della mostra Giorgio Armani Privé 2005-2025 non è l’ennesimo atto di vanità, ma una presa di posizione. Come a dire: qui dentro si sogna, sì, ma con i piedi per terra. E magari anche con una giacca tagliata a vivo che cade perfetta sulla spalla.
Vent’anni fa, Armani lanciava Privé a Parigi, dove il vocabolario couture era ancora in mano a chi faceva rumore con metri di tulle e corpetti scenografici. Lui no. Silenzioso, come sempre. Preciso, come un sarto che ha già in testa la curva del corpo. E così nasce Privé, come risposta a tutte le domande sbagliate che la moda si stava facendo. E oggi quella risposta torna protagonista, in una mostra che parla poco ma dice tutto. C’è la sperimentazione – quella vera, non quella che si traveste da provocazione – e c’è la coerenza. Armani osa senza dichiararlo, gioca con i volumi senza urlarlo, cambia tutto senza sembrare mai cambiato. E allora ecco che al Silos si cammina tra abiti che non sembrano usciti da una gruccia, ma da una visione. I tessuti , nobili, ma non inutilmente sontuosi. I ricami sono ricami, non alibi. Gli abiti ti guardano, più che il contrario. Sussurrano, senza mettersi in mostra. E tutto – dal profumo diffuso nell’aria (Bois d’Encens, se siete abbastanza raffinati da riconoscerlo) alla colonna sonora che accompagna il percorso – serve a ricordarti che stai entrando in un universo dove la misura è lusso, dove il dettaglio è il re, e dove ogni eccesso viene soppesato, e poi eliminato.
Armani è da sempre sempre così: innamorato della donna ma allergico allo wow. I suoi abiti non sono fatti per far girare la testa, ma per far restare impressi. La mostra, in questo senso, è una lezione di marketing inverso: nessuna timeline, nessun tasto play, nessun tutorial. Solo abiti. E che abiti. Alcuni li abbiamo visti addosso a star hollywoodiane – e va bene, fa curriculum – ma molti altri sono più silenziosi, più interiori, più vicini a quel tipo di donna che non ha bisogno di spiegarsi ogni volta che entra in una stanza. Armani l’ha sempre disegnata così: elegante, sì, ma anche tosta. Raffinata, ma viva. Non da museo, anche se oggi il museo lo riempie. C’è chi dirà che è un’operazione nostalgica. Ma per capire Armani bisogna leggere il tempo nel modo in cui lui taglia una manica. Non c’è passato, non c’è futuro. C’è solo ciò che funziona.
“Nell’Alta Moda non mi pongo limiti”, dice Armani. E lo si capisce. Non perché si lanci in eccessi da fine stagione, ma perché è lì che si permette il lusso più raro di tutti: essere esattamente se stesso. E se il sogno ha ancora un senso, forse sta tutto lì: in una giacca in mikado che scivola via senza fare una piega. Come lui. Come questa mostra. Come quello stile che non è mai andato fuori moda perché, semplicemente, non ci è mai entrato.


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