Cultura & Spettacolo

Vent’anni dopo Igor Righetti e la favola dell’avarizia del Sordi segreto

di Nicola Santini -


Il 24 febbraio ricorre il ventesimo anniversario della scomparsa di Alberto Sordi, avvenuta nel 2003. Per ricordarlo, uscirà l’undicesima ristampa del libro scritto da suo cugino Igor Righetti, “Alberto Sordi segreto” pubblicato nel 2020 in occasione del centenario della nascita del grande attore, il primo volume che racconta la vita fuori dal set dell’Alberto nazionale. Righetti, giornalista professionista, docente universitario di comunicazione, autore e conduttore radiotelevisivo Rai, con la sua famiglia fin da bambino ha frequentato l’illustre cugino che chiamava zio in quanto Sordi lo considerava come un nipote. Pubblicato dall’editore Rubbettino con la prefazione del critico cinematografico Gianni Canova, “Alberto Sordi segreto” è disponibile nelle librerie, su Amazon e su tutti i bookstore online anche in versione ebook: il volume sta riscuotendo grande successo non soltanto in Italia, ma anche in Europa, Argentina, Stati Uniti e Australia. Finora ha ricevuto cinque Premi letterari di cui due internazionali: “L’Apoxiomeno international Award” per la Letteratura e quello dell'”International Tour Film Fest”, il Premio nazionale Caravella Tricolore, il Premio “Cinema Anni d’oro – Premio George Hilton” e il Premio nazionale Alberto Sordi del Comune di Popoli (Pescara).
La versione cartacea è stata richiesta da numerose librerie di città americane come Chicago, Boston, New York e Washington. Alberto Sordi, infatti, non è amatissimo soltanto in Italia: anche all’estero lo ricordano con grande affetto. La dimostrazione viene proprio dall’11ª ristampa di “Alberto Sordi segreto”, scritto da chi l’attore lo ha conosciuto bene e frequentato in tante situazioni familiari e non sul set, per motivi professionali o per interviste ufficiali, ma in quanto suo familiare.
Come nasce la leggenda della sua presunta avarizia? “Dal fatto che nel momento dell’apice del suo successo – spiega Igor Righetti – ai tempi della Dolce vita, periodo in cui i divi si davano alla pazza gioia in via Veneto tra night, ristoranti alla moda e fiumi di champagne, lui non partecipava mai perché la sera studiava il copione e al mattino doveva alzarsi presto per stare sul set. In quel periodo Alberto ha realizzato anche dodici film all’anno, spesso girandoli contemporaneamente, passando da un set a un altro, quindi non aveva tempo da perdere. Mi raccontò, invece, che una giornalista mezza tacca e dotata di scarsa ironia, frequentatrice assidua dei party vip, scrisse che Alberto non frequentava gli incontri mondani, come facevano invece gli altri attori, perché era taccagno e non voleva spendere. Era molto orgoglioso di aver evitato il più possibile di farsi fotografare dai paparazzi a queste feste. Non ha mai smentito la sua presunta avarizia perché, geniale fino in fondo, divenuto ricco e famoso aveva capito che con quella fama nessuno lo avrebbe importunato. Ha alimentato lui stesso questa leggenda della taccagneria divertendosi a provocare e giocando sul suo attaccamento al denaro anche sfruttando il suo cognome (soldi in romanesco diventa “sordi”). L’ha cavalcata a suo favore interpretando il film ‘L’avaro’. Era oculato e parsimonioso nelle spese, quello sì, ma non taccagno. Non era nato ricco, aveva anche vissuto la fame agli inizi della sua carriera e conosceva bene il valore del denaro”.
E aggiunge Righetti: “Avrebbe potuto avere auto lussuose, ma non amava ostentare, così come non ha mai voluto fotografi nella sua villa romana. Anzi, sorrideva quando vedeva sui settimanali o in tv servizi fotografici realizzati nelle case di personaggi dello spettacolo in cui venivano immortalati nella camera da letto, nel bagno, in cucina o accanto al frigorifero aperto. Alberto, invece, ha fatto tanta beneficenza, ma sempre in silenzio. Ha pagato cure mediche per amici e colleghi in disgrazia, ha adottato a distanza molti bambini poveri, ha fatto tante donazioni a vari orfanotrofi, alla casa del barbone e alla casa dello studente. Ma anche la beneficenza la faceva senza sbandierarla, non si lasciava fotografare con le gigantografie degli assegni come fanno altri. Soltanto dopo la sua morte il pubblico ne è venuto a conoscenza delle sue numerose iniziative benefiche. Molto di ciò che ha avuto, quindi, l’ha poi ridato.

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