Cronaca

Vicenza, il caso del comandante dei Vigili del Fuoco accusato di violenza sessuale

di Ivano Tolettini -


Vicenza, il caso del comandante dei Vigili del Fuoco accusato di violenza sessuale

Una notizia choc per l’amministrazione pubblica. Il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Vicenza, Nicolò Gianesini, ha disposto il giudizio immediato per Andrea Gattuso, 60 anni, Comandante provinciale del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco. L’accusa è gravissima: una presunta violenza sessuale aggravata nei confronti di una sottoposta. I fatti, ricostruiti in modo minuzioso dalla Procura, sarebbero avvenuti all’interno della caserma, in un contesto istituzionale e gerarchico che, anziché proteggere, avrebbe facilitato l’abuso.

Il decreto, firmato lo scorso 30 giugno, porta la firma del pubblico ministero Camilla Menegoni e si basa su elementi considerati «gravi ed evidenti» emersi durante le indagini preliminari. Il gip ha ritenuto che sussistano i presupposti per saltare l’udienza preliminare e portare direttamente a processo l’alto ufficiale, sulla base della solidità del quadro accusatorio. Una scelta che, per la sua stessa natura, sottintende un convincimento già consolidato da parte dell’organo giudicante: gli indizi raccolti sono consistenti, articolati e che saranno analizzati in sede dibattimentale. Il processo si aprirà il 26 settembre davanti al Tribunale collegiale di Vicenza. Sarà quello il momento della verità. Sarà lì che le accuse dovranno essere provate al di là di ogni ragionevole dubbio. Ma la strada è già tracciata. E il caso, comunque vada, si è già caricato di un significato che supera le pur necessarie logiche giuridiche: è il paradigma di una sfida culturale, prima ancora che penale, nei luoghi della pubblica amministrazione.

La ricostruzione della Procura

Secondo quanto ricostruito dalla Procura, il 12 luglio 2024 Andrea Gattuso avrebbe attirato con un pretesto una dipendente del Comando di via Farini nel proprio alloggio privato all’interno della caserma, situato al quarto piano dello stabile. Lì, dopo aver insistito con argomentazioni ambigue e richieste fuori luogo, avrebbe costretto la donna a subire atti libidinosi: l’avrebbe bloccata con forza, stretta a sé, baciata sul collo e tentato di baciarla sulle labbra, ignorando i ripetuti “no” e i tentativi di divincolarsi della vittima. Le parole dell’imputato, riportate nel decreto di rinvio a giudizio poiché evidentemente sono state registrate, sarebbero state: «Come sei bella, voglio solo un bacio, non voglio altro, perché mi rifiuti?» È su questa frase, su quel “solo un bacio”, che si gioca la chiave del reato contestato. Per la Procura, non si tratta di un fraintendimento, né di un gesto impulsivo o mal interpretato. Si tratta di un abuso, giuridicamente qualificato come violenza sessuale aggravata dall’abuso di relazioni d’ufficio: l’aggravante scatta quando l’autore del fatto si avvale della propria posizione di superiorità, come nel caso di un superiore gerarchico nei confronti di una sottoposta.

Le fonti di prova e la mancata comparizione

Nel fascicolo figurano, oltre alla denuncia-querela dettagliata della donna, le relazioni dei carabinieri, diverse testimonianze raccolte all’interno del Comando e annotazioni interne che sembrerebbero confermare il contesto denunciato. A rafforzare l’impianto accusatorio ci sarebbero anche delle registrazioni audio, prodotte dalla parte offesa, in cui il Comandante avrebbe in parte ammesso l’episodio, cercando tuttavia di minimizzarlo o ricondurlo a un gesto di affetto mal interpretato. Gattuso, difeso dall’avvocata Francesca Rigato, non si è presentato all’interrogatorio fissato per il 26 giugno scorso, scelta legittima ma che ha contribuito a cristallizzare la richiesta di giudizio immediato. Sul piano formale, non si tratta ancora di una dichiarazione di colpevolezza, ma il tono della Procura è netto: l’episodio non si configura come equivoco, bensì come atto consapevole e univocamente finalizzato a ottenere, con violenza, un coinvolgimento fisico non voluto.

Il processo che fa tremare le istituzioni

Il procedimento non scuote soltanto l’immagine di un alto dirigente dei Vigili del Fuoco, ma solleva interrogativi profondi sulla tutela delle lavoratrici nei luoghi pubblici. Perché se da un lato la gerarchia garantisce l’operatività e l’ordine, dall’altro può diventare uno strumento pericoloso, se chi la esercita perde il senso del limite. Ed è proprio questa la zona d’ombra che il processo di Vicenza è chiamato a illuminare: come proteggere chi denuncia quando il potere è concentrato nelle mani dell’aggressore? La parte civile, rappresentata dall’avvocata Cristina Zanini del Foro di Vicenza, ha già annunciato la propria costituzione in giudizio. Il processo sarà quindi anche un banco di prova per la capacità del sistema giudiziario di rispondere con fermezza e trasparenza a episodi che, troppo spesso, vengono ridimensionati, ignorati o – peggio ancora – capovolti contro le vittime.

Un precedente che può fare scuola

Il fatto che il presunto abuso sia avvenuto in orario di servizio, nei locali della caserma, in un contesto istituzionale altamente strutturato, non è solo un’aggravante giuridica. È un segnale allarmante. È la prova di quanto, persino in ambienti dove il rispetto e la disciplina dovrebbero essere valori fondanti, esistano sacche di impunità o aree grigie dove il potere personale può scivolare nell’arbitrio. La decisione del giudice Gianesini di saltare l’udienza preliminare e andare dritti a dibattimento è un messaggio chiaro: c’è un impianto accusatorio solido, c’è l’urgenza di fare chiarezza, c’è una questione che la società non può permettersi di ignorare. In attesa che il Tribunale si pronunci nel merito, resta l’eco di quella porta dell’ascensore che si è fermata a un piano diverso. Non era un errore. Era un disegno. E solo la determinazione di chi ha detto “no” ha evitato che il progetto andasse fino in fondo. Ma in molti, fuori dall’aula, lo stanno già seguendo. Perché stavolta, nel cuore di una città operosa e spesso silenziosa come Vicenza, è in gioco molto di più di una condanna o di un’assoluzione. È in gioco il diritto, per chi lavora, di non dover mai temere il potere di chi comanda.


Torna alle notizie in home