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Vincere la freneticità per non ricadere nel tempo

Solo la riscoperta di un tempo cosciente del senso e del valore del limite, più pacato e riflessivo, può portarci fuori dalla dittatura del fare convulso automatico, ansioso, egoistico e improduttivo. La lezione che può venire dal Covid. La forza della bellezza e quella dell’emozione.

di Redazione -


Se c’è una cosa importate per l’uomo, questo è il tempo. E’ il dono più grande, oltre alla vita, che si è ricevuto. Se hai tempo, hai tutto, perché tutto del tempo ha bisogno per realizzarsi, per completarsi, per produrre un risultato di senso. Gli antichi lo sapevano e al tempo consacravano la loro vita. Cercavano il tempo per meditare, per elaborare pensiero, per prendere le decisioni più importanti, per coltivare la terra e ottenere da questa i frutti migliori, per recuperare le forze dopo momenti impegnativi, per amare, per confrontarsi con se stessi e capire se il flusso della loro vita fosse quello giusto, andasse cioè nella direzione del bene, non solo individuale, ma comune, perché sapevano che il tempo buono di uno ha riflessi positivi su tutti. Era questo il tempo che i greci chiamavano kairos, un tempo utile, produttivo in termini di crescita intellettuale, spirituale ed etica. Oggi questo tempo è scomparso dall’orizzonte dell’uomo. E’ svanito con la crescita e lo sviluppo della tecnica che ha inoculato i suoi ritmi, sempre più veloci, nella vita delle persone. Con il risultato di creare in loro l’abitudine a rispondere agli impulsi che l’esistenza invia con istintività, con immediatezza, come farebbe una macchina, sminuendo, affievolendo e a volte annientando la capacità di riflessione, di pensiero, quello che sa scandagliare nell’animo umano e tirar fuori le domande di senso, le sole che invitano a ricercare, a osservare, a dare risposte ponderate sulla vita e sul mistero che in essa si cela, e a utilizzare atteggiamenti consoni al momento, dove il margine di errore sia ponderato e lieve. Tutto questo e non solo questo abbiamo smarrito. Perché le conseguenze che si sono a catena sviluppate sono tante e il loro riverbero s’è insediato sulla sfera psichica, morale, fisica e sociale dell’uomo, creando danni di non poco conto. Poi però è arrivata, improvvisa, la pandemia da Covid 19, e tutto è sembrato fermarsi. S’è arrestato il flusso frenetico del fare, s’è interrotta la voracità del godimento a tutto tondo, la corsa a consumare, la voglia di ricercare l’utile economico a qualsiasi prezzo e senza alcun margine di eticità, il desiderio convulso del possedere, la logica dell’individualismo estremo ed egoistico. Il mondo è sembrato per un lungo attimo fermo, immobile, in surplace. Pareva non respirasse più. E il suo battito, flebile, averlo confinato in una bradicardia vitale inconcepibile fino a quel momento. Qualcuno s’era lasciato andare a previsioni nuove, di un’umanità che avrebbe tratto grandi insegnamenti da quella situazione, riportando gli uomini a un vivere più degno della loro intelligenza, della loro sensibilità. Più aderente al ritmo che alla mente e al cuore si confà. Ma tutto è svanito in poco tempo. Non appena è arrivato il vaccino e l’infezione è sembrata rallentare e la possibilità di tornare alla vita di un tempo s’è fatta più concreta, allora la frenesia ha ripreso a serpeggiare nell’animo di ognuno e sono riapparsi i comportamenti che fino ad allora avevano caratterizzato, nel male, l’esser umano. Intendiamoci, la voglia di vita, di ritrovare le emozioni dello stare insieme agli altri, di agire attraverso il sentimento della vita stessa, è più che naturale, anzi è esso stesso vitale. Ma non c’è stato solo questo, c’è stata la smania di recuperare il tempo perduto, di fare tutto quello che non era stato possibile fare, a volte anche in sfregio alle regole anti Covid imposte per evitare il diffondersi ulteriore della pandemia, mostrando poco senso etico, oltre a una pericolosa sfida con se stessi. Questa visone frenetica della vita è un aspetto del limite umano, un limite interpretato non come il fattore che la vita definisce e alla vita dà senso, ma come espressione di un’insicurezza di fondo: il fare per paura di non poter più fare, di non godere di un beneficio o di un privilegio, perché le regole potrebbero cambiare. E’ la ricaduta dell’uomo nel tempo. In cui lui si fa nuovamente suddito a questo. Perdendo ancora la capacità di governarlo per il suo vero bene. E invece la sfida che va intrapresa è proprio quella di riconquistare il valore del tempo. Di rimpossessarsi di quella ritmicità che, involontariamente, la pandemia ci aveva mostrato come foriera di grandi possibilità. Dal dedicarsi con più disponibilità ai propri affetti, alla loro maggiore conoscenza, alla loro più sana crescita. Alla voglia di ritrovare il momento del pensiero, della riflessione, del dubbio, della costruzione di un futuro migliore. Al riscoprire l’importanza delle piccole cose, dimenticate per cose di minor valore, ma più luccicanti e vacue. Al riappropriarsi di quella ritmicità pacata nel fare, condizionata da un pensiero ampio, elaborato e attuato col tempo giusto. Al riconoscere l’esser un ingranaggio di una complessa macchina, l’umanità, che va nella giusta direzione se ognuno partecipa con uguale rispetto per gli altri e per la natura, che tutto ingloba, con la convinzione e la determinazione di operare per il bene comune, per un futuro di civiltà e progresso. E non ultimo, con la riconquista del valore del tempo, riappropriarci della bellezza. La bellezza che sta nelle cose, nella natura, in noi. La bellezza scoperta, la bellezza creata, la bellezza coltivata. E con essa la forza dell’emozione, quel brivido vitale che alla vita meglio dispone. La sola espressione che, come diceva Ezra Pound, “a tutto resiste!”

Romolo Paradiso


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