VISTO DA – Il miracolo di Sharon, solidarietà all’americana(ta)
Una storia vera, di trent’anni fa, riportata sullo schermo nel febbraio dello scorso anno negli Stati Uniti e arrivata da poco in Italia grazie a Netflix: parliamo de Il miracolo di Sharon (titolo riadattato malamente rispetto all’originale Ordinary Angels), diretto da Jon Gunn. Un film – che potremmo definire davvero “molto americano” – porta sullo schermo una storia vera ambientata nell’inverno del 1994 a Louisville, Kentucky. Al centro della trama troviamo Sharon Stevens, interpretata da una straordinaria Hilary Swank, una donna di mezza età che di mestiere fa la parrucchiera e che lotta con i propri demoni, tra cui l’alcolismo e un rapporto difficile con il figlio ormai adulto. La storia al centro del film inizia quando la protagonista incontra un operaio, tale Ed Schmitt (interpretato da Alan Ritchson).
L’uomo, vedovo da poco, ha una figlia di cinque anni, Michelle Schmitt, affetta da atresia biliare e bisognosa di un trapianto di fegato. Sharon decide di aiutare la famiglia, ma a mettere i bastoni tra le ruote a un possibile lieto fine ci si mette una violenta tempesta che porta le temperature fino a -22 gradi e oltre 40 centimetri di neve a terra: le autostrade vengono chiuse, e per Michelle arrivare in ospedale per ricevere l’organo sembra impossibile. Sharon però è disposta a tutto per aiutarla, riuscendo a mobilitare tutta la comunità per riuscire nell’impresa. Il film colpisce per la verità di quanto accaduto, ma anche per la forza del suo messaggio: l’altruismo, la tenacia e la solidarietà possono superare anche gli ostacoli più insormontabili. Sebbene la pellicola contenga alcuni elementi romanzati, come l’alcolismo della protagonista, ma anche l’incontro fortuito con il padre (la vera Sharon aveva letto la notizia della bambina su un giornale locale) la maggior parte degli eventi è rimasta più o meno fedele alla realtà. A fronte di una trama “già decisa” sono state le interpretazioni dei protagonisti a dare quel tocco in più al lungometraggio. Hilary Swank offre una performance intensa e sfumata, dando vita a una donna complessa, mentre Alan Ritchson, nei panni del padre vedovo Ed Schmitt, regala un’interpretazione sorprendentemente emotiva. Il film di Gunn rientra nel tipico filone del “feel-good movie” americano, con un’abbondanza di buoni sentimenti, momenti patriottici e religiosi e colpi di scena romanzati ad hoc. In tal senso, la storia soffre a tratti di prevedibilità e alcune scelte narrative appaiono eccessivamente retoriche. Mancano, inoltre, critiche dirette al sistema sanitario americano, che avrebbe potuto arricchire ulteriormente la trama e dare un ulteriore messaggio di denuncia. Più di successo negli Stati Uniti che in Italia, Il miracolo di Sharon riesce a portare al coinvolgimento dello spettatore grazie alle forti interpretazioni dei protagonisti, tuttavia le diverse ingenuità narrative e quella dose di retorica tipicamente americana, lo fanno scendere a una scarsa sufficienza.
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