Cinema

VISTO DA – Santocielo, quel paradiso libero dai pregiudizi

di Riccardo Manfredelli -


VISTO DA – La recensione di Santocielo

Sarà l’avvicinarsi di un’età ponte o forse, si dice, è per via della mia natura ipersensibile, ma mi scopro spesso a pormi quesiti esistenziali: perché non ho il fisico di Roberto Bolle? Ritroveremo chi amiamo dopo la morte? Com’è fatto il paradiso? Somiglia più a un ufficio postale, come quello descritto da Daniele Luchetti nel film “Momenti di Trascurabile Felicità” (dall’omonimo romanzo di Francesco Piccolo) o è architettonicamente costruito sull’esempio de “La Scuola di Atene” di Raffaello? Sette cieli, c’è anche l’ufficio “smistamento preghiere”, dal più alto Dio convoca spesso e volentieri l’assemblea plenaria degli angeli; il mondo è una polveriera, e gli Uomini hanno bisogno di un nuovo Messia che li salvi e indichi loro la “retta via”. L’Arcangelo Aristide, che coltiva il sogno di diventare un cherubino, si offre volontario per scendere sulla Terra e comunicare alla nuova prescelta la buona novella. Come succede spesso nella vita quaggiù, tutto si gioca in una manciata di secondi e – al culmine di una concatenazione di equivoci -il messaggero celeste ingravida un uomo: il vicepreside e insegnante di matematica di una scuola cattolica Nicola Balistrieri, in procinto di separarsi dalla moglie.

L’intuizione da cui parte “Santocielo”, l’ultima fatica cinematografica di Ficarra e Picone diretta da Francesco Amato, è senz’altro notevole; un po’ meno d’impatto, invece, lo sviluppo della storia che, fatti salvi due colpi di scena (per il secondo bisognerà aspettare addrittura il finale) sembra trascinarsi stancamente. A proposito di citazioni pittoriche e letterarie, è impossibile non vedere nella missione di Aristide (che arriva sul nostro pianeta, non a caso, atterrando su un cumulo di rifiuti) un netto capovolgimento del viaggio narrato nella “Divina Commedia”. E anche per Nicola, non sfuggono di certo le sue stilettate a sfondo misogino («Lo sai come sono le donne». «Sei nei tuoi giorni?»). La gravidanza non è altro che un originalissimo contrappasso. Capire le donne, in fondo, è un anelito vecchio come il mondo: ci è riuscito solo Mel Gibson, “merito” di un incidente domestico, nel film del 2000 “What Women Want”.

Protagoniste femminili di “Santocielo”, commedia “utopica” che punta a celebrare la libertà e l’unicità dell’essere umano contro qualsiasi forma di pregiudizio, ben rappresentato dalla coppia di vicini impiccioni, sono Maria Chiara Giannetta (convincente alla sua prima prova davanti alla macchina da presa) e Barbara Ronchi, la nuova musa del cinema italiano d’autore. Due titoli a conferma di ciò che dico: “Rapito” di Marco Bellocchio, regista con cui aveva già lavorato nel 2010 per “Fai Bei Sogni”, e che qui la dirige nella sua performance più intensa, e “Io Sono Babbo Natale” di Edoardo Falcone, al fianco di quel geniaccio di Gigi Proietti del quale disse: «Lavorare con lui è stato un regalo. Sul set sentivi la voglia che aveva di farci divertire, di farci stare tutti bene. E in più aveva anche la voglia di sapere di te».


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