Attualità

“Viviamo già un conflitto a pezzi. L’Italia torni al ruolo di mediatore”

di Edoardo Sirignano -

MARIO GIRO DEMOS


“Ha ragione il Papa, guerra chiama guerra. L’Ucraina non è il solo punto caldo del pianeta. Basta provocazioni, altrimenti si rischia il peggio”. A dirlo Mario Giro, vice ministro degli Affari Esteri nei governi Renzi e Gentiloni.
Intercettato un aereo russo al confine con l’Estonia. Si tratta dell’ennesima provocazione dopo il colpo di un jet a un drone statunitense. Dove vuole arrivare il Cremlino?
Si rischia un’escalation a causa di un conflitto, che nessuno vuol far terminare. Incidenti come quello dell’aereo sono all’ordine del giorno. Ne sono successi, d’altronde, altri in questo primo anno di guerra. Ricordiamoci, poi, il rischio gravissimo dell’incidente nucleare. Abbiamo tutti visto quanto sta accadendo intorno alla centrale di Zaporizhia. Il problema, è che ce ne ricordiamo una tantum. La situazione, quindi, è abbastanza delicata.
La Finlandia a un passo dalla Nato. Isolare Putin potrebbe diventare pericoloso?
I russi dicono da tempo di sentirsi accerchiati. Gli occidentali rispondono che ciò è falso. Ciò che manca, invece, è un accordo per costruire una nuova architettura di sicurezza in Europa. Direi una nuova Helsinki.
L’Ue, in tutto ciò, che ruolo svolge?
In questo momento, sta aiutando l’Ucraina a resistere. Mi sembra molto esposta. È il ruolo che si è scelta. D’altra parte, nessuno si aspettava l’aggressione russa. È una reazione logica, a mio parere, rispetto a quanto successo.
C’è il rischio che si arrivi a una terza guerra mondiale?
Come detto in precedenza, l’escalation è sempre possibile. Papa Francesco dice che la terza guerra mondiale già esiste, anche se a pezzi. Bisogna, quindi, stare innanzitutto attenti che qualcuno possa utilizzare armi sempre più pericolose, come quelle nucleari o meglio ancora che ci sia lo scontro finale tra Nato e Russia. Detto ciò, non bisogna sottovalutare il rischio di una reazione orizzontale, cioè un conflitto che ne scatena altri nel pianeta. Bisogna prestare attenzione al Caucaso, all’Armenia, Azerbaigian, dove sono coinvolti oltre ai russi, i turchi e gli iraniani. Vediamo, poi, quanto potrebbe succedere in Bosnia, così come la tensione sempre più avvertita nel Kosovo. Altre situazioni calde pure in Africa. Per dirla in breve, guerra chiama guerra.
Cosa sta succedendo, invece, sul fronte indo-pacifico? Quale la sua idea rispetto al caso Taiwan?
È un’altra questione, che riguarda le relazioni con la Cina. Anche in questo caso, comunque, non stiamo parlando di una sfida di oggi, ma di un qualcosa precedente alle ostilità in Ucraina. Riguarda principalmente l’aspetto tecnologico e in particolare una sfida per la leadership mondiale. Taiwan è uno dei punti più pericolosi del globo. Non bisogna dimenticare che tutti si aspettavano che lì potesse succedere quanto poi è accaduto a Kiev.
Quanto durerà, secondo la sua esperienza, lo scontro tra Zelensky e Putin?
Spero il meno possibile. Sappiamo che gli americani stanno cominciando a pensare a una exit strategy, dove tutti possano trovare un interesse, compresi i russi. Deve essere qualcosa che non sia umiliante per nessuno, a cominciare dagli ucraini. Tutti sappiamo che questa guerra finirà intorno a un tavolo. Sono tra quelli che ritengono che era meglio sedersi prima di oggi. La guerra lascia, purtroppo, solchi molto pesanti e conseguenze gravi. Detto ciò, non posso fare previsioni sulla durata. Posso dire, invece, che secondo un ragionamento logico, siamo militarmente in una situazione di stallo. Sarebbe, quindi, auspicabile pensare a come uscirne negoziando. Se non si perseguirà questa strada, ci troveremo di fronte a una nuova Corea o all’ennesimo caso Cipro.
In questo momento, intanto, il pianeta deve affrontare una grande crisi economica. Le difficoltà dell’hi-tech arrivano a mettere in ginocchio perfino la Credit Suisse. Tutto ciò è collegato a quanto sta succedendo in giro per il pianeta?
Assolutamente no! Siamo ormai endemici alle crisi finanziarie dal 2008. Il sistema finanziario bancario non si è del tutto mai ripreso. Un lunghissimo scaricabarile blocca ancora l’economia. I governi sono più propensi a fare debito per salvare le banche piuttosto che fermare chi cerca di addossare ai cittadini i propri problemi. Il mercato, quattordici anni fa, aveva dimostrato di non sapersi gestire da solo. Ecco perché ogni tanto ci sono delle nuove scosse di assestamento.
Quanto dureranno?
A lungo.
L’Italia rispetto a un quadro internazionale abbastanza complesso come si sta comportando? Qualcuno accusa Meloni di essere troppo filoamericana. Condivide la politica della premier?
L’Italia democratica e repubblicana sceglie già dopo il secondo conflitto mondiale di essere filoamericana. Ha tenuto fedelmente una posizione e continuerà a tenerla. Il nostro Paese non sarà mai lontano dagli Stati Uniti.
Questa scelta, però, oggi conviene?
Esiste anche la possibilità di mediare in certe situazioni, cosa che abbiamo saputo ben fare durante la prima repubblica. Mi sembra che questa classe dirigente sia meno propensa a farlo. Sarebbe, invece, una tradizione da riprendere. Per gli americani siamo anche utili quando mettiamo a servizio del pianeta la nostra abilità diplomatica.

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