Esteri

Yemen, una guerra senza fine tra il doppio gioco di Riad e l’ipocrisia dell’Occidente

L’attuale cessate il fuoco non sembra il viatico per la fine di un conflitto che dal 2015 causa morte e distruzione. L’Arabia Saudita mostra il volto buono liberando prigionieri Houthi, ma c’è chi è pronto a scommettere che voglia annettersi mezzo Yemen

di Davide Romano -



“L’Arabia Saudita è intenzionata a lavorare per il mantenimento del cessate il fuoco in Yemen e per il raggiungimento di una pace duratura ma l’Iran alimenta il conflitto”. Gli Stati Uniti non hanno dubbi e per bocca del loro inviato speciale in Yemen, Tim Lenderking, accusano Teheran di non voler mettere fine al conflitto che dal 2015 devasta il sud della penisola arabica. Versione ovviamente rigettata dall’Iran, con la Guida Suprema Ali Khamenei che più volte ha accusato Riad di voler far saltare ogni possibile dialogo. Difficile stabilire le ragioni dell’uno e dell’altro, soprattutto in un conflitto complicato, caratterizzato da una serie infinita di tregue e cessate il fuoco puntualmente violati, attentati e accuse reciproche. Come ogni guerra che si rispetti il terreno dello scontro dunque non si limita al campo di battaglia, ma riguarda la propaganda di ambo le parti.

Tre giorni fa Press Tv, media vicino al governo di Teheran, citando fonti yemenite, ha lanciato la notizia che l’Arabia Saudita starebbe pianificando di annettersi “mezzo Yemen”, più precisamente le province orientali di Hadhramaut, Shabwah, al-Mahrah, e Abyan. Territori ricchi di risorse, che darebbero al governo di Riad un accesso diretto ad una serie di porti strategici sull’Oceano Indiano. Se queste fossero le reali mire di Bin Salman, la decisione di liberare in questi giorni 80 ribelli sciiti Houthi, con la volontà di allungare il cessate il fuoco stabilito ai primi di aprile, sarebbe soltanto strategica. Del resto la tregua scattata più di un mese fa era arrivata dopo una serie di attacchi yemeniti ai pozzi petroliferi della Aramco. Le parole dell’11 aprile scorso pronunciate dal leader di Ansarullah, Sayed Abdul Malik al-Houthi, “l’Arabia Saudita non ha altra scelta che la sconfitta” testimonierebbero le difficoltà in questa fase del conflitto della coalizione internazionale guidata da Riad.

Probabilmente i sauditi non sono prossimi alla sconfitta come pensano i ribelli sciiti, ma sicuramente si trovano in una delicata fase di stallo. Nonostante il conflitto in Yemen rappresenti una delle più gravi crisi umanitarie degli ultimi decenni, sui media occidentali le notizie si trovano con il contagocce. Secondo l’Onu solo tra marzo 2015 e aprile 2016 fra le 7.400 e le 16.200 persone sono morte in Yemen, di cui civili fra 4.125 e 10.000. Secondo un rapporto dell’associazione vicina ai ribelli Houthi “Humanity Eye Center for Rights and Development” (Ehcrd) l’intervento militare dell’Arabia Saudita ha causato tra gli yemeniti la morte di 17.775 persone e il ferimento di altre 28.599. I bambini uccisi sarebbero 4.028. Numeri terribili di un conflitto che forse meriterebbe più attenzione e sforzi condivisi per arrivare ad una pace duratura.


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