Esteri

Yulia, nel nome di Navalny: “Non ci arrenderemo mai”

di Martina Melli -

La vedova di Alexei Navalny, Yulia, in un fermo immagine tratto da un video postato sui social, 19 febbraio 2024. INSTAGRAM YULIA NAVALNAYA +++ATTENZIONE LA FOTO NON PUO' ESSERE PUBBLICATA O RIPRODOTTA SENZA L'AUTORIZZAZIONE DELLA FONTE DI ORIGINE CUI SI RINVIA+++


Yulia Navalnaya, moglie di Alexei Navalny, il dissidente russo morto venerdì in una prigione artica di massima sicurezza, ha pubblicato un video in cui promette di continuare il lavoro politico del marito e in cui invita i cittadini russi a stringersi attorno a lei per combattere per una Russia libera. “Vi chiedo di stare con me. Per condividere non solo il dolore ma anche la rabbia. La furia, l’odio per coloro che osano uccidere il nostro futuro”. Navalnaya, 47 anni, ha accusato le autorità russe di aver ucciso suo marito, di averne nascosto il corpo e di aver aspettato che le tracce dell’agente nervino novichok scomparissero dal suo corpo. “Sappiamo esattamente perché Putin ha ucciso Alexei. Ve lo diremo presto”, ha aggiunto. “Uccidendo Alexei, Putin ha ucciso metà di me, metà del mio cuore e della mia anima. Ma ho ancora l’altra metà, e questo mi dice che non ho il diritto di arrendermi”, ha continuato Navalnaya, che ha visto suo marito per l’ultima volta due anni fa. Yulia è rimasta sempre al fianco del leader: lo ha portato fuori dal Paese mentre era in coma dopo un avvelenamento da Novichok nel 2020 ed è tornata con lui a Mosca nel 2021. “In tutti questi anni sono stato al fianco di Alexei” ha detto Navalnaya, “ma oggi voglio essere al vistro fianco, perché so che avete perso tanto quanto me”.
La sua morte infatti ha stordito e demoralizzato i numerosi dissidenti russi sparsi in tutto il Paese. Navalnaya ieri ha incontrato i ministri degli Esteri dei 27 Stati membri dell’Ue al Consiglio Affari Esteri a Bruxelles a cui era presente anche il ministro Tajani, che ha dichiarato: “Continueremo a sostenere l’opposizione russa e chiederemo la liberazione dei prigionieri politici in Russia”.
Alla madre di Navalny, Lyudmila Navalnaya, 69 anni, non è stato permesso di vedere il corpo del figlio. Sabato si è recata alla prigione di Polar Wolf, appena sopra il Circolo Polare Artico, dove le è stato inizialmente detto dai funzionari che suo figlio era decdeduto per la “sindrome della morte improvvisa”. I funzionari dell’obitorio hanno tuttavia negato di avere il corpo. Un detenuto ha testimoniato la presenza di lividi sul petto (segno che potrebbe indicare convulsioni) e che l’orario riportato del decesso fosse errato. Secondo il quotidiano popolare tedesco Bild, Navalny sarebbe morto nel giorno dell’apertura della conferenza di Monaco, “esattamente un mese prima delle elezioni presidenziali in Russia e forse poco prima della sua possibile liberazione”, nell’ambito di uno scambio di prigionieri tra Usa, Russia e Germania. Dopo che il giornale russo in esilio, Novaya Gazeta Europe, ha riferito che il corpo si trovava effettivamente all’obitorio di Salkehard, alla madre ieri mattina è stato nuovamente negato l’accesso e poi le è stato comunicato che dovrà aspettare 14 giorni per avere la salma, perché le autorità dovranno sottoporla a “esame chimico”. I membri del team di Navalny hanno definito la sua morte un “omicidio”, mentre molti leader mondiali, tra cui il presidente Biden, hanno apertamente dichiarato Putin responsabile. In una conferenza stampa il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha detto che le indagini a riguardo sono in corso e vengono di atto eseguite “in conformità con le leggi russe”. Putin, nel frattempo (che da anni non nomina Navalny) non ha fatto alcun commento sulla morte dell’avversario, considerato, per più di un decennio, l’oppositore più carismatico del presidente russo. A Navalny, dopo la sua incredibile performance nella corsa a sindaco di Mosca del 2013, fu impedito di candidarsi alle elezioni presidenziali del 2018 contro Putin. Negli anni ha affrontato numerose accuse penali – che sapevano tanto di vendetta politica – e nell’agosto 2020 è stato avvelenato con un agente nervino chimico. In seguito ha collaborato con Bellingcat, il sito investigativo, ed è riuscito a dimostrare come una squadra di agenti del Servizio di sicurezza federale russo (Fsc) fosse responsabile del suo avvelenamento.


Torna alle notizie in home