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Attualità

Zaia e De Luca, i fratelli divisi troppo forti per i loro partiti

di Ivano Tolettini -


Il paradosso della politica italiana: chi vince troppo finisce per diventare ingombrante. Luca Zaia e Vincenzo De Luca sono i due esempi più clamorosi. Due presidenti di Regione che hanno stravinto con percentuali bulgare, oltre il 70%, e che si ritrovano a essere “problemi” interni per i rispettivi partiti. Due “fratelli divisi”, separati dal colore politico ma uniti dal destino di chi ha avuto troppo consenso per essere gestito da apparati che non tollerano autonomie.

Le sicurezza del governatore Zaia

Zaia ha parlato con la calma di chi sa di avere la forza dell’opinione pubblica dietro di sé. Ma le sue parole hanno il peso di una dichiarazione di principio: “Trovo strano che un governatore uscente con il 70% dei consensi non possa ricandidarsi, non possa avere una sua lista civica e non possa mettere il proprio nome sul simbolo. Ne prendo atto”. Il punto è proprio questo: la lista Zaia non ci sarà. La Lega ha deciso di correre compatta sotto il simbolo tradizionale, senza la civica che nel 2020 aveva garantito il traino decisivo alla vittoria. Un modo per “normalizzare” il governatore: un rischio calcolato? Zaia non farà guerre aperte, ma la sua popolarità rimane un’arma. A Padova, ieri sera, è stato il più applaudito: in 3 mila lo hanno acclamato, più del candidato ufficiale Alberto Stefani, più di Salvini. Il messaggio è chiaro: anche senza lista, il consenso resta suo. E se lo sposterà dentro il perimetro della Lega, può ancora invertire la rotta di un partito che in Veneto ha perso molto rispetto ai tempi d’oro.

Dal Veneto a Napoli

Sul fronte opposto, a Napoli, De Luca gioca la stessa partita con un’altra musica. “Ringrazio il centrodestra per il regalo che ci ha fatto”, ha detto con la consueta ironia riferendosi alla candidatura di Edmondo Cirielli. Anche lui, come Zaia, resta il perno del sistema campano. Punta alla presidenza del Consiglio regionale, e soprattutto a mantenere la regia del potere territoriale, oltre i confini del Pd. Ce la farà il supremo dei “cacicchi”? Mentre Roberto Fico tenta di costruire un campo largo alternativo, evocando “il percorso di tanti”, il centro della scena resta occupato da De Luca. È lui l’uomo che può portare voti anche fuori dal recinto del Pd, verso il civismo e verso chi cerca una leadership forte, radicata e capace di parlare la lingua del territorio. La verità è che Zaia e De Luca sono due facce della stessa anomalia italiana: la forza dei governatori eletti dal popolo contro la paura dei partiti centralizzati. Due personalità che non obbediscono, ma convincono. In Veneto, la Lega tenta di ripartire con Stefani, ma il vento del consenso soffia ancora sul nome di Zaia. In Campania, il Pd si affida al magnetismo di De Luca per tenere insieme una coalizione che rischia di sfaldarsi. Entrambi restano al centro della scena e saranno i veri protagonisti della campagna elettorale. Il paradosso finale è tutto qui: i partiti non sanno più cosa fare dei loro fuoriclasse. Li temono, li escludono, ma poi scoprono di non poter vincere senza di loro. Zaia e De Luca lo sanno, e si preparano a giocare una partita parallela. Non sarà la loro lista a parlare, ma il loro nome. E quello, in politica, vale ancora più di un simbolo.


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