Zaia e Sangiuliano sono le spine del centrodestra in Veneto e Campania
Due fuochi diversi, una stessa febbre politica. Nel Nord-Est, Luca Zaia non ha ancora sciolto il nodo della candidatura e combatte una battaglia di principio contro la Lega di Matteo Salvini per il simbolo; nel Mezzogiorno, Gennaro Sangiuliano, ex ministro della Cultura, oggi corrispondente Rai da Parigi, tiene in sospeso FdI con un mezzo “sì” come capolista della Campania.
Due dossier apparentemente separati, ma che raccontano la stessa tensione
Un centrodestra attraversato da personalismi, diffidenze e rivalità interne, a quaranta giorni dalle urne. Nel Veneto, l’assenza del nome di Zaia dal simbolo della Lega scatena una frattura oltre il valore grafico del logo. Per il governatore uscente, il nome rappresenta il riconoscimento di quindici anni di governo e la continuità con un modello amministrativo che ha costruito consenso e reputazione.
“Stefani e la Lega ne avrebbero avuto bisogno”, dice Zaia, lasciando intendere che la scelta di cancellarlo dal simbolo è un autogol. Dietro lo scontro c’è il timore della Lega che l’“effetto Zaia” finisca per oscurare il 33ennee candidato Alberto Stefani. Che, da parte sua, cerca di spostare l’attenzione sul programma, insistendo sul sociale, sulla sanità territoriale e sull’ambiente. Ma la sua campagna parte in salita senza la lista “Zaia Presidente” e con un partito lacerato tra lealtà al leader locale e obbedienza a Salvini.
La contraddizione è tutta lì. La Lega ha scelto il candidato, ma ha messo in discussione il simbolo più popolare: Zaia, che pure giura fedeltà alla coalizione, continua a parlare con toni sibillini, evocando una decisione “a tempo debito”. Un modo elegante per restare arbitro e non comprimario. In Campania, la scena è speculare ma invertita. Qui è Fratelli d’Italia ad avere il problema. Dopo il passo indietro forzato di Sangiuliano dal ministero, per l’affaire Boccia, la sua candidatura è un rompicapo politico e mediatico.
Il giornalista e scrittore napoletano ha lasciato intendere di “valutare le tante richieste”, mentre dal suo profilo social rilancia immagini e slogan che sanno già di campagna elettorale. L’Usigrai, il sindacato dei giornalisti Rai, lo accusa di usare la tv pubblica come trampolino politico e invoca le dimissioni o almeno un periodo di aspettativa.
Non faceva così però quando a candidarsi erano Annunziata, Badaloni, Marrazzo, Sassoli e Giulietti nel Pd. Ma per ora Sangiuliano continua a firmarsi “corrispondente da Parigi”. Il rischio, per Giorgia Meloni, è di trovarsi con un candidato divisivo in una regione dove il centrodestra ha sempre faticato a sfondare. Così il centrodestra deve gestire due fronti caldi. Il Veneto, dove il successo è scontato, ma il prezzo politico potrebbe essere alto. E la Campania, dove la candidatura di Sangiuliano può apparire come un’operazione personale più che un progetto di coalizione. A questi si aggiunge la Puglia, dove la scelta del civico Luigi Lobuono non ha entusiasmato né FdI né Lega, ma unisce una maggioranza nazionale segnata più dalle ombre dei protagonisti che dalla luce della coalizione.
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