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Politica

Zaia e Stefani, la sfida a FdInel Veneto a centrodestra

di Ivano Tolettini -


Il Palageox gremito racconta la nuova geografia del potere veneto: un centrodestra che si misura con se stesso più che con gli avversari. Il centrosinistra, con Andrea Manildo candidato di bandiera, resta lontano nei sondaggi. La partita vera è interna alla coalizione di governo, tra la Lega di Luca Zaia e Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, e dei luogotenenti Luca De Carlo e Raffaele Speranzon.

I dati

È la sfida per l’egemonia del Veneto politico. FdI parte dal 37% delle Europee, la Lega dal 13%. Colmare il divario appare improbo, ma Zaia e il suo delfino Alberto Stefani sanno che ogni punto recuperato significherebbe riportare la “Lega delle origini” al centro del racconto veneto, restituendo voce a un modello di governo fondato sul territorio e non sui diktat romani. La serata padovana, nata per lanciare la campagna di Stefani, è diventata il teatro del passaggio di consegne e insieme del rilancio personale di Zaia. Matteo Salvini è accolto con rispetto, ma senza calore: applausi di circostanza, nessuna ovazione. Il Palageox si accende solo quando sul palco sale il governatore, che parla a braccio per venticinque minuti, alternando ironia e orgoglio, memoria e futuro. Il momento chiave arriva con l’annuncio, dopo avere ribadito che se è un probleama “mi candido capolista in tutte le province». È il modo più diretto per dire che non si ritira, che resta in campo, che non accetta di essere messo da parte. La folla esplode in cori da stadio: «Luca, Luca». Zaia sorride, stempera la tensione, benedice Stefani, ma lancia un messaggio limpido: “Se prima si diceva dopo Zaia solo Zaia, ora diciamo dopo Zaia scrivi Zaia”. È una frase che pesa più di un programma, un marchio d’identità. L’ovazione è unanime. Poi, come sempre, l’ironia: la barzelletta del pappagallo, quello da un milione di euro “che non si sa cosa fa, ma gli altri due lo chiamano presidente”. È il suo modo di spiegare il potere: non si impone, si riconosce. Contro i veti.

La linea di Stefani

Stefani, 32 anni, raccoglie il testimone con misura. Parla di “rivoluzione di stile”, promette una politica senza odio né polemiche, centrata sul sociale, sui giovani, sull’ambiente. Sottolinea il federalismo fiscale come via concreta all’autonomia in continuità con il maestro. È destinato, se vincerà, a diventare il più giovane presidente di Regione della Repubblica. Per la Lega, la posta in gioco è doppia: mantenere il Veneto e superare FdI in casa propria. Un traguardo difficile,che segnerebbe il riscatto del “modello Zaia”, capace di parlare ai moderati, ai civici, al popolo. Per FdI, invece, si tratta di consolidare la leadership meloniana in una terra leghista.La base resta affezionata al presidente, che dopo tre lustri lascia Palazzo Balbi, non il palcoscenico. L’autonomia, la sanità, la concretezza amministrativa restano i suoi vessilli. Il segnale è chiaro: in Veneto non si vota solo per il nuovo governatore, ma anche per misurare il peso reale della Lega contro il partito di Meloni. E se Zaia riuscisse a ricucire quel gap di ventiquattro punti, anche solo in parte, sarebbe una vittoria politica più grande di qualunque risultato elettorale.


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